Le visite dei pontefici
Michelangelo Pistoletto: specchio, Terzo Paradiso e Metro Cubo d’Infinito diventino strumenti di connessione
In un contesto globale segnato da una frenetica corsa agli armamenti e da tensioni geopolitiche sempre più diffuse, la Giornata Mondiale della Pace 2026 richiama l’attenzione sul tema «La pace sia con tutti voi: verso una pace disarmata e disarmante». Nel suo messaggio, papa Leone XIV invita la comunità internazionale a superare la logica della forza e della deterrenza, ribadendo che la pace non può poggiare sulla paura ma deve diventare un processo capace di sciogliere i conflitti, generare fiducia e restituire spazio all’empatia.
È in questo scenario che si inserisce la riflessione di Michelangelo Pistoletto, protagonista della mostra UR-RA Unity of Religions-Responsibility of Art alla Reggia di Monza e tra le voci più autorevoli dell’arte contemporanea. Da decenni il maestro indaga il rapporto tra arte, religione e responsabilità sociale, proponendo modelli di dialogo e convivenza che anticipano molte delle sfide attuali. La sua visione - dalla simbologia del Terzo Paradiso alla ricerca sull’unità delle fedi - offre una chiave di lettura originale e concreta su come la creatività possa diventare uno strumento di pace reale, quotidiana, “disarmata” e quindi capace di disarmare.
Maestro, la sua mostra alla Reggia di Monza unisce arte, religione e pensiero laico. Come nasce quest’idea e cosa significa oggi fare arte parlando di unità delle religioni?
Tempo fa ho realizzato una mostra dal titolo L’arte assume la religione. Già allora avevo la consapevolezza che esistesse, da sempre, un rapporto profondo e attivo tra arte e religione: due realtà che per secoli hanno collaborato e dialogato direttamente.
L’artista, per molto tempo, ha rappresentato ciò che la religione intendeva trasmettere, offrendo immagine e visibilità al pensiero spirituale. Con l’avvento dell’arte moderna, però, è cambiato tutto. Mi piace ricordare La Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca: un’opera che racconta un episodio del culto cristiano introducendo un elemento rivoluzionario: un’architettura della visione. È la nascita della prospettiva, che apre la strada alla scienza e al pensiero matematico.
Quel momento segna l’autonomia dell’artista, che inizia a muoversi in parallelo con lo sviluppo scientifico e umano del suo tempo. Il percorso trova poi un compimento nel Novecento, con la fotografia, che concretizza quella visione scientifica anticipata da Piero della Francesca. Da lì in avanti, l’artista non si rapporta più al sistema religioso, ma intraprende un viaggio interiore, un’autoanalisi, una ricerca di sé: nasce quello che chiamo il cubobianco”.
Nel cubo bianco l’artista si chiude in sé stesso - il cubismo, il surrealismo, l'impressionismo, l’astrattismo - tutti movimenti che esplorano l’intimità, l’emozione e la tecnica individuale, ma che finiscono per lasciare l’artista nella profonda solitudine esistenziale. Ho sentito il bisogno di reagire a questo e l’ho fatto con l’autoritratto. Dipingendo me stesso, ho affrontato la condizione dell’artista isolato. In quell’autoritratto, la materia pittorica si è trasformata in superficie specchiante. Usando una vernice nera lucidissima, derivata dai fondi oro e argento che stavo sperimentando. Quando vidi la mia immagine riflessa nel quadro, dietro la figura che dipingevo, capii che là dentro l’opera non c’ero solo io, ma tutto il mondo. Non ero più solo: ero insieme agli altri. È stato un momento rivelatore, un passaggio che ha cambiato radicalmente il mio modo di intendere l’arte: dall’io al noi.
Specchio e quadri specchianti: possiamo dire che la mostra UR-RA rappresenti il compimento di questo percorso, in cui anche il visitatore diventa parte di un riflesso comune?
Sì è così. Lo spettatore, attraversando la mostra, percorre idealmente la mia stessa storia: quella dell’entrata nello specchio, che permette di vedersi dentro al mondo, e chi guarda si trova all’interno della mia visione. È un movimento reciproco, un incontro tra artista, opera e pubblico.
Un atto di responsabilità collettiva, che coinvolge tutti.
Esatto. La parola “religione” significa religare, unire. L’essere umano non è mai solo: vive con gli altri, in relazione. Questo bisogno di unione è ciò che fonda la società stessa.
Per questo dico che la religione è il principio della società. Ma oggi è necessario rivedere il passato, così come l’arte - dalla prospettiva in poi - ha saputo rinnovare continuamente il proprio linguaggio. Bisogna revisionare ciò che siamo stati per poter visionare il futuro.
Lo stesso vale per le religioni: da sempre si sono combattute, e la politica ha spesso seguito queste divisioni, trasformando Dio in uno strumento di potere. Si fanno guerre nel nome di un Dio che, paradossalmente, dovrebbe unire. Alla radice di molti conflitti c’è la religione che si riduce a divisione.
UR-RA si apre con il Metro Cubo d’Infinito e la Tavola interreligiosa per la pace preventiva. In che modo entra in questo discorso?
È un progetto collettivo, non di un solo autore. La Tavola interreligiosa nasce dal lavoro che portiamo avanti alla Cittadellarte, con l’Ufficio Spiritualità e il contributo di Francesco Monico.
Abbiamo aperto un dialogo concreto con rappresentanti di diverse religioni, persone che hanno riconosciuto nel nostro lavoro qualcosa che anche loro stavano cercando. C’è un bisogno profondo, in chi si occupa di spiritualità, di confrontarsi su un piano creativo e intellettuale.
I religiosi, in fondo, sono intellettuali nel senso più alto: lavorano sull’intelletto, sulla ricerca del senso. Ed è un’intellettualità dinamica, in continuo movimento, come la creazione stessa.
Avevo già espresso questa idea con il simbolo del Terzo Paradiso: una linea che si incrocia due volte formando tre cerchi. Nei due cerchi esterni troviamo elementi opposti, mentre in quello centrale — quel vuoto persistente — avviene l’incontro. È lì che gli opposti si connettono, generando qualcosa di nuovo. Tutto ciò che esiste nell’universo nasce da questa dinamica: elementi diversi che si combinano e danno vita a nuove realtà. È un processo di espansione infinita, la vera essenza della creazione.
Il Terzo Paradiso è anche al centro del percorso espositivo della mostra.
Esatto. Attraversa e chiude la mostra. Nei giardini della Reggia di Monza sono presenti i simboli di tutte le religioni, riuniti in un unico segno.
Accanto a questo ritorna il tema specchiante: alcune opere mostrano lo specchio che si riflette su se stesso, generando una moltiplicazione all’infinito. È un gioco di proiezioni matematiche, di unità che si fondono nella totalità.
In questo senso, l’unità - che è anche l’individuo - e il mondo si combinano in un processo continuo di generazione reciproca. Oggi, con l’intelligenza artificiale, questo discorso si amplia ulteriormente. Viviamo immersi negli algoritmi: lo “spirito” umano si è fatto artificiale, una sorta di intelligenza specchiante creata dall’uomo. In fondo, potremmo dire che l’intelligenza artificiale è il nuovo quadro specchiante tecnologico.
Già venticinque anni fa, a Marsiglia, ha realizzato un progetto d’arte al servizio del dialogo tra le fedi. Che cosa è cambiato da allora?
Sì, era il progetto per l’ospedale Paoli-Calmettes di Marsiglia, un grande centro oncologico. Mi avevano chiesto di sostituire la cappella cattolica con un luogo che accogliesse le diverse spiritualità dei pazienti. Marsiglia è un porto, una città cosmopolita: i malati provenivano da ogni parte del mondo. Ho colto quell’occasione come un’opportunità straordinaria proponendo una “cappella delle religioni”, uno spazio dove le fedi potessero convivere. Coinvolgemmo le quattro religioni più diffuse, quelle monoteista e il buddismo, molto presente in città.
Al centro posizionai il Metro Cubo d’Infinito, una pietra autoriflettente simbolica delle religioni. Richiama la pietra nera della Mecca, le pietre del Muro del Pianto di Gerusalemme o la pietra dell’unzione nel Santo Sepolcro. Pensiamo a quel sepolcro: è la pietra di una tomba vuota. Cristo fu deposto lì, ma quando tornarono, non c’era più. È un’immagine potentissima: la pietra come soglia tra finito e infinito, tra materia e spirito.
Nel Metro Cubo d’Infinito c’è lo stesso principio: dentro quella forma cubica autospecchiante è racchiusa la proiezione dell’infinito, come un varco che ci porta oltre la materia.
Arte e religione si incontrano e si accompagnano: l’arte porta sempre con sé immaginazione e ispirazione, conoscenza e consapevolezza. È una via che unisce fede e scienza, visione e comprensione.
In che modo l’arte può aiutare le nuove generazioni, oggi, in un tempo segnato da crisi di valori e incertezza?
Ho cercato di creare luoghi dove l’arte diventi un laboratorio di vita. La Cittadellarte nasce proprio con questo intento: mettere in relazione l’arte con tutti i settori della società.
Non volevo un’accademia tradizionale, ma un luogo di formazione attiva che ho chiamato Università delle Idee, “università” nel senso di universalità. Le idee non devono restare astratte, ma trasformarsi in strumenti concreti di connessione tra le diverse dimensioni della vita sociale.
In questo contesto, la religione ha un ruolo essenziale: quello di unire. Attraverso la Cittadellarte possiamo ampliare questa unione, trasformandola in un modello di interconnessione che riguarda anche economia, politica, educazione e ambiente.
L’obiettivo è fare della Cittadellarte uno Stato dell’Arte: uno spazio senza confini, dove il pensiero agisce con responsabilità.
I giovani hanno questa possibilità, anche se non è semplice. Devono capire che dentro ognuno di noi convivono due estremi: il mostro e la virtù. Dico sempre che siamo tutti sia mostra che virtù”.
Bisogna portare entrambi a connetterci nel cerchio centrale del Terzo Paradiso, quello dell’incontro, per cercare l’equilibrio. Solo lì può nascere l’armonia.
Lei ha spesso parlato di “pace preventiva”. È un concetto che nasce da questo stesso pensiero di equilibrio?
Sì, esattamente. La chiamo “pace preventiva” perché la pace deve essere un metodo, non una conseguenza. Dobbiamo impedire che gli opposti si incontrino solo per distruggersi, ma favorire incontri che generino empatia e creino processi edificanti di comunanza umana.
Questo implica responsabilità - non come punizione per chi sbaglia, ma come atto di giudizio individuale consapevole. La pace non può essere solo un desiderio: deve diventare una formula. Così come esistono formule matematiche, esiste anche una formula per la pace - quella del Terzo Paradiso. Se la applichiamo, generiamo vita e armonia; se la usiamo per fare la guerra, produciamo distruzione.
Siamo a un punto cruciale della storia: o si riparte, o ci si autodistrugge. E credo che l’arte debba essere lo spazio della ripartenza.
Lei usa spesso lo sport come metafora di questa visione.
Sì, perché nello sport esistono regole precise, fondate sul principio del “non uccidere”. È già un modello pratico di pace preventiva. Nello sport ci sono arbitri, non generali; campi da gioco, non campi di guerra. È una struttura che permette alla competizione di esistere senza distruzione. Ognuno può dare il massimo di sé nel confronto con l’altro, e proprio quel confronto diventa un modo per migliorare se stessi e la società.
Ecco, se la pace funziona nello sport, può funzionare anche nella religione, nella politica. Basta imparare ad applicare le stesse regole al gioco della vita.
Arte e religione, dunque, camminano insieme da sempre.
Sì, da sempre. Non credo che l’arte abbia mai spinto la religione verso il lato peggiore. L’arte non ha mai avuto l’intenzione di alimentare conflitti o distruzioni; al contrario, l’ha sempre accompagnata nella strada che genera il bene dell’intelletto. Oggi l’arte assume una nuova responsabilità: partecipare attivamente al suo rinnovamento.
L’arte non deve più limitarsi a rappresentare, ma deve proporre. Deve essere una forza che genera possibilità, non divisione.
Che messaggio vuole lasciare ai giovani che leggeranno questa intervista?
Viviamo in un mondo in cui è difficile agire senza cadere nella contrapposizione oltranzista. Ma il cambiamento non nasce dallo scontro, bensì dalla proposta.
Alla Cittadellarte diciamo sempre: portiamo la proposta, non la protesta. La protesta rinforza l’avversario; la proposta lo mette nella condizione di comprendere e migliorare.
La proposta è un atto creativo. Senza creazione non c’è proposta, e senza proposta non c’è cambiamento. Per questo l’arte è fondamentale: ci ricorda che tutti, non solo gli artisti, abbiamo la capacità di creare. Creare non significa solo esprimere emozioni, ma stabilire nuove regole, nuove connessioni, nuove forme di convivenza.
Le regole non devono essere definitive: devono poter cambiare, ma devono nascere insieme, da una proposta e non da un’imposizione.
Alla Cittadellarte lavoriamo proprio su questo: costruire un’accademia, una scuola, un laboratorio di proposte.
Più riusciremo a espandere questo impegno nel mondo, più giovani avranno la possibilità di conoscere, agire e diventare parte attiva di una reale trasformazione.
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