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16 gennaio, festività dei protomartiri francescani. Lo sapevate che...

Redazione
Pubblicato il 16-01-2018

Appartenenti all’Ordine minoritico, i cinque frati erano originari dell’agro ternano e avevano ottenuto il permesso di predicare il Vangelo ai Saraceni

     La festività dei protomartiri francescani cade a ventuno giorni da quella di Stefano, che per primo versò il proprio sangue per amore di Cristo. Se motivazioni di ordine liturgico e simbolico hanno indotto la Chiesa a fissare la memoria del santo diacono il 26 dicembre, storiche sono invece quelle sottese alla celebrazione del 16 gennaio. Fu infatti in questo giorno che il suddiacono Berardo, i sacerdoti Ottone e Pietro, i fratelli laici Adiuto e Accursio furono decapitati in Marocco per ordine del sultano Miramolino. Era l’anno 1220.

  Appartenenti all’Ordine minoritico, i cinque frati erano originari dell’agro ternano e avevano ottenuto il permesso di predicare il Vangelo ai Saraceni probabilmente durante il Capitolo del 1219, presieduto dallo stesso Francesco. Nell’annunciare Cristo, Berardo, Ottone, Pietro, Adiuto e Accursio diedero prova d’entusiasmo e fede profonda. Si mostrarono soprattutto intrepidi nel subire più volte la prigionia e la fustigazione fino ad accogliere con soprannaturale fermezza la sentenza di morte. «Orsù, fratelli! – queste le parole, che si sarebbero detti l’un altro secondo il testo della Passio – Abbiamo trovato quello che cercavamo: siamo costanti e non temiamo di morire per Cristo».



  È tuttavia innegabile che sulla conclusione cruenta di questa missione hanno enormemente pesato un’impreparazione di fondo alla predicazione evangelica ai non cristiani e un’arditezza di zelo, che spinse i cinque Minori a criticare direttamente Maometto. Inevitabili le conseguenze: da un atteggiamento conciliante nei riguardi dei predicatori cristiani (di cui dà testimonianza anche Giacomo da Vitry relativamente ai frati Minori) i Saraceni finivano per assumere uno improntato a chiusura e spietatezza.



  Al di là di questi passi falsi, dovuti in ogni caso a un’inadeguata formazione missionaria, i martiri del Marocco lasciarono un esempio d’amore a Cristo fino al supremo sacrificio di sé. Nell’Ordine l’eco fu enorme. Lo stesso Francesco – stando alla Passio -avrebbe esclamato: «Adesso posso dire di avere veramente cinque Frati Minori», non senza assumere però un atteggiamento cautelare secondo quanto riportato da Giordano da Giano. La notizia suscitò commozione anche in Chiara, accendendo in lei il desiderio del martirio. Dagli Atti del processo di canonizzazione si apprende infatti che «quando, avendo inteso che nel Marocco erano stati martirizzati certi frati, essa diceva che ce voleva andare». È noto poi come il trasferimento delle reliquie dei protomartiri a Coimbra abbia influito sul cambiamento di vita del canonico lisbonese Fernando e sulla decisione di entrare tra i Minori col nome di Antonio.


  Di questo passaggio nell’Ordine da parte del futuro santo di Padova fece espressa menzione Sisto IV nella bolla Cum alias (7 agosto 1481), con cui fu concesso ai Minori di celebrare, il 16 gennaio, messa e ufficio dei santi Berardo, Pietro, Ottone, Accursio e Adiuto. Sempre vivo tra le famiglie francescane, il culto dei cinque protomartiri ha assunto una connotazione più generale dal 13 giugno 2010, giorno in cui alcune reliquie sono state deposte nella chiesa ternana di S. Antonio di Padova. Contemporaneamente è stata avviata una rilettura storicizzata della loro vicenda, monito alla necessità di predicare il Vangelo nel pieno rispetto delle altrui convinzioni e nell’esercizio di una costante attività dialogica.  (Francesco Lepore)


DEI VERI FRATI MINORI
I cinque Santi che Francesco definì "veri frati minori", ne riscopre la loro esperienza umana attuando al contempo un impegnativo progetto di conoscenza e valorizzazione delle proprie radici francescane, mediante la riscoperta di quello che si sta rivelando gradualmente un sostanziale capitolo della storia cristiana. Lo fa attraverso lo studio e la presa di coscienza di una fitta congerie di memorie e testimonianze di santi, beati e semplici laici originari di una terra particolarmente cara a san Francesco, chiamati dal Signore a vivere appieno la propria "minorità" tra i più poveri. Grazie ai quali è possibile oggi chiamare il lembo di terra umbra, tra la Valle Spoletana e la Valle Santa reatina, la "Valle dei Protomartiri".

Se dovessimo spiegare l'affermazione di San Francesco quando gli comunicano che alcuni suoi compagni sono stati martirizzati a causa del Vangelo in Marocco "finalmente ho dei veri frati minori"  potremmo sostenere che  essa è detta non solo per i frati che hanno donato la vita ma per alcune vicissitudini che hanno turbato il suo cuore.


TRATTO DA "FRANCESCO IL RIBELLE" di ENZO FORTUNATO ED. MONDADORI in uscita il 27 febbraio

Se dovessimo comunque evidenziare il motivo della grande tentazione e delle difficoltà, potremmo esprimerlo attraverso il sogno che Tommaso da Celano racconta nel Memoriale: Mentre rivolgeva questi e simili pensieri nella sua mente, una notte, nel sonno, ebbe questa visione. Vide una gallina piccola e nera, simile a una colomba domestica, con zampe e piedi rivestiti di piume. Aveva moltissimi pulcini, che per quanto si aggirassero attorno a lei, non riuscivano a raccogliersi tutti sotto le sue ali. Quando si svegliò, l’uomo di Dio, e riprese i suoi pensieri, spiegò personalmente la visione.

«La gallina, commentò, sono io, piccolo di statura e di carnagione scura, e debbo unire alla innocenza della vita una semplicità di colomba: virtù, che quanto è più rara nel mondo, tanto più speditamente si alza al cielo. I pulcini sono i frati, cresciuti in numero e grazia, che la forza di Francesco non riesce a proteggere dal turbamento degli uomini e dagli attacchi delle lingue maligne».

A quali turbamenti fa riferimento Francesco? Nell’estate del 1220 Francesco, di rientro dal Marocco, va in visita da papa Onorio III per ripristinare la fiducia di fronte alle grandi correnti che emergevano dalla fraternità: quella che desiderava una vita scandita dalle regole e vicina allo stile monastico del tempo; l’altra, diametralmente opposta, capeggiata da Giovanni da Campello che scelse di uscire dall’ordine per fondarne uno nuovo. Se questo era il motivo della visita al papa non mancano momenti spiacevoli. Passando per Bologna scopre che alcuni compagni si erano costruiti una bella casa in muratura. Senza neanche vederla, il Santo comanda seccamente a tutti i frati di lasciarla e non bastano le rassicurazioni del cardinale Ugolino, che sostiene di essere proprietario dell’abitazione.

La testimonianza di questo episodio è raccontata dal frate infermo che alloggiava lì: i frati lasciano la casa e anche gli ammalati vengono messi fuori. Sulla stessa scia l’episodio ad Assisi dei frati che, con l’aiuto del Comune, avevano trasformato le capanne di paglia, legno e fango, in un edificio in muratura. È nota la scenata di Francesco che sale sul tetto, con i fedelissimi, e comincia a distruggerlo. Come a Bologna, le giustificazioni sono di carattere «legale»: non è possibile demolire abitazioni di proprietà comunale. Il Santo, troppo debole per opporsi, interrompe l’opera di demolizione. Se i primi motivi si riferiscono alle cose materiali e al loro possesso, i secondi riguardano l’organizzazione dell’Ordine.

Infatti Onorio III con la bolla Cum secundum consilium, del 22 settembre 1220, ordina un anno di noviziato obbligatorio per tutti coloro che desiderano unirsi alla fraternità, dopo l’esperienza del postulato. La Cronaca del francescano Giordano da Giano, infatti, denunciava immaturità, approssimazione, improvvisazione e leggerezza da parte di non pochi frati. Francesco, che viveva la sua vocazione in modo spontaneo e generoso, ne è deluso e, col pretesto della scarsa salute, dà le dimissioni nel corso del capitolo generale alla Porziuncola, a cui era presente anche il cardinale Ugolino, e affida la guida del neonato Ordine all’amico Pietro Cattani, anche se rimarrà sempre il faro spirituale per tutti.

Altra grande questione che si trova ad affrontare è la revoca del privilegio apostolico di frate Filippo, a cui aveva affidato la cura di Chiara e delle Povere Dame, che l’autorizzava a proteggere le religiose e a scomunicare i loro detrattori. Quelle descritte sono le difficoltà di ieri, in modo diverso anche di oggi, forse di sempre. L’unica strada per tutti coloro che sognano un vissuto diverso, nella fraternità francescana, nella società civile, nell’impegno politico come in quello lavorativo, rimane quella percorsa, vissuta e indicata dal Santo di Assisi, quella del proprio esempio, della propria testimonianza. Vero lievito che fermenta ogni cosa.

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