L'eredità viva di mio fratello Vito La Rocca
Viaggiatore dell'anima tra sacro e umano
L’amore per l’arte, per la scultura in particolare, lo porta ad incrociare per un piacevole “disegno” del destino la strada di uno dei piu’ grandi scultori del Novecento, Emilio Greco, di cui diventa quasi all’istante discepolo prediletto ed uno degli allievi piu’ apprezzati durante gli anni di studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli nella seconda metà degli anni Sessanta. Restandone letteralmente folgorato.
È il percorso umano ed artistico che caratterizza l’avventura terrena di mio fratello Vito La Rocca, maestro d’arte, scultore e fotografo, prematuramente scomparso 7 anni fa, mentre è pienamente immerso nella realizzazione delle opere scultoree (busti, bassorilievi, ritratti, figure intere…) destinate ad arredare, su incarico del Vicariato col placet del Vaticano, la nuova parrocchia di Santa Madre Teresa di Calcutta a Roma. Soggetti artistici a carattere sacro sulla vita e sulle opere della santa albanese accanto ai poveri tra i piu’ poveri, che anche ad anni di distanza hanno il sapore di un ideale lascito ricevuto da Vito La Rocca dalle mani del suo antico maestro, essendo stato, Emilio Greco, artista di primissimo piano anche in materia di arte sacra. Come testimoniano alcune delle sue creazioni piu’ significative, a partire dalla scultura bronzea di papa Giovanni XXIII inaugurata da Paolo VI nella basilica di S.Pietro, dalle Porte del Duomo di Orvieto con le storie dei 7 peccati capitali, dai bassorilievi della chiesa di S. Giovanni Battista di Firenze progettata dal grande architetto Giovanni Michelucci, o i contributi artistici per la mostra “Dante in Vaticano” del 1984-85. Opere considerate a pieno titolo tra i massimi capolavori dell’arte contemporanea, ma che per Vito La Rocca assurgono anche a vere e proprie stelle polari per la sua formazione artistica, avendone messo in pratica insegnamenti e spirito creativo con particolare attenzione per la sua scultura figurativa neo classica ispirata al sacro, alla vita della Chiesa cattolica, dei Papi, del Concilio Vaticano II. Concentrandosi – fino in prossimità della sua improvvisa scomparsa – su personaggi come Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, papa Francesco. Ma anche su figure ecclesiali amate dal grande pubblico, da credenti, non credenti, diversamente credenti, come il cardinale Carlo Maria Martini, senza disdegnare di ispirarsi ad “anonimi” vescovi, monsignori e preti di “strada” amici di poveri, bisognosi e diseredati come monsignor Luigi Di Liegro, don Luigi Ciotti, don Antonio Mazzi e, in ultimo, Santa Madre Teresa di Calcutta e le sue Missionarie della Carità.
Vale a dire, tutto quell’ideale mondo scultoreo di Vito La Rocca che inizia a muovere i primi passi ancora prima degli anni dell’Accademia di Belle Arti di Napoli - dove mio fratello vi accede dopo essersi diplomato Maestro d’Arte presso l’Istituto d’Arte di Cascano, in provincia di Caserta -, ma fin dai primi anni della scuola dell’obbligo, quando da autodidatta non passa giorno senza disegnare, scolpire, realizzare forme in creta e in legno, bassorilievi. Anni di giovanile istintiva ostinata creatività che coincidono con gli anni in cui la Chiesa balza agli onori delle cronache internazionali grazie all’apertura del Concilio Vaticano II, i cui padri conciliari vengono presi a modello da Vito La Rocca per le sue prime sculture. Ed io, suo unico fratello minore, sempre al suo fianco, colpito ed affascinato da tutto quanto che è in grado di realizzare con le sue mani, sculture, disegni, quadri ad olio, tempere, bozzetti. Non disdegnando, spesso e volentieri, di portare a scuola qualche sua creazione – ricordo in particolare una barca con pescatore con la lenza in mano realizzata in creta – per farla ammirare dal mio maestro e dai miei compagni di classe. Spiegando ovviamente con malcelato orgoglio che “queste sono opere di mio fratello scultore” . Quasi una sorta di addetto stampa in erba impegnato alla promozione delle sue prime pubbliche “relazioni”. Senza disdegnare di posare, a volte, come un modello per una scultura o un quadro, costringetto a stare fermo per ore sopra una sedia o uno sgabello di fortuna, con addosso scomodi vestiti, ampi drappeggi, per rappresentargli alla men peggio la figura o il personaggio da tratteggiare su un foglio, una tela e – piu’ spesso – da modellare in creta o in un bassorilievo. Per lui, momenti creativi intensissimi. Per me, interminabili noiosissimi momenti di postura, vere e proprie torture, intervallate da frequenti suoi richiami del tipo “stai fermo! Non ti muovere! Mi fai sbagliare se ti sposti in continuazione!".
Comunque sia, primi passi “artistici” che avrebbero portato il giovanissimo Vito La Rocca ad intraprendere, dopo le scuole dell’obbligo, le strade per conseguire i titoli di Maestro d’Arte e di Scultore col diploma dell’Istituto d’Arte e nel tempio della didattica artistica dell’Accademia di Belle Arti, sotto la guida nientemeno che di Emilio Greco, il grande maestro che vede subito in lui le grandi potenzialità creative che di lì a poco non mancherà di manifestare. Non solo nelle aule dell’Accademia napoletana, ma anche e soprattutto nella sua bottega-studio di Itri, e nelle mostre che organizza dentro e fuori il suo paese natale, suscitando grande interesse in tutto il basso Lazio e nella vicina Campania. E persino nell’ambito della Diocesi di Gaeta dove viene incaricato di realizzare, tra l’altro, il busto argenteo dell’arcivescovo Dionigio Casaroli (1926-1966), commissione che lo riempie d’orgoglio, come tante volte avrebbe ricordato nell’evocare i suoi primi successi artistici. Ma restando particolarmente colpito quando non poche sue sculture vengono acquistate per la prima volta da occasionali ammiratori, “non tanto per il valore commerciale delle mie sculture, ma – è solito confessare con naturale semplicità - per il fatto che persone che non ho mai conosciuto vengono attratte dalle mie opere, da figure partorite dalla mia mente e plasmate dalle mie mani, al punto da volerle portarsele nelle loro case, pagandomi pure. Quando le do’ via, pur dietro un compenso, mi dispiace perché sento che non le rivedrò mai piu’. Quando vendo le mie opere mi sento quasi un groppo alla gola, come un padre si commuove alla partenza di un figlio”.
Ecco quindi che dal tatto delle sue mani, dalle carezze delle sue dita, dai battiti prudenti di mazzuolo e scalpello, che prende forma e “vita” un viaggio artistico personalissimo che annovera, tra le prime significative realizzazioni, opere dedicate a papa Giovanni XXIII ed ai padri conciliari, ritratti nella solennità delle sedute in basilica, durante i cortei; come pure sculture ispirate a momenti istituzionali, come, ad esempio, lo storico incontro in Vaticano con Robert Kennedy fissato in un bassorilievo di sorprendente realismo, ma anche ad una rilettura dell’assassinio di Abele da parte di Caino, rivestiti con abiti moderni secondo una sua personalissima rivisitazione della Creazione biblica alla luce dei drammi contemporanei. Oppure, negli anni a seguire, momenti indimenticabili come gli incontri tra Lady Diana e Madre Teresa di Calcutta con papa Wojtyla, il primo viaggio di papa Francesco a Lampedusa, l’8 Agosto 2013, per benedire gli oltre 400 immigrati annegati al largo delle acque siciliane. Opere che Vito La Rocca terrà gelosamente conservate nella sua bottega artistica, poche volte esposte al pubblico, accanto alle altre creazioni realizzate nel corso della sua maturità artistica.
Di tutta questa ampia produzione, oggi ne resta, complessivamente, oltre un centinaio di opere, in massima parte busti, bassorilievi e soggetti a tutto tondo su tematiche sacre, ma anche diverse sculture ispirate ai “personaggi” particolarmente amati dalla sua città natale, la Madonna della Civita, venerata sull’omonimo santuario da oltre 1000 anni, e Frà Diavolo, al secolo Michele Pezza, nativo di Itri, tra i maggiori oppositori-resistenti alle truppe napoleoniche di fine ‘700. Opere rimaste “orfane”, impacchettate, catalogate e conservate in magazzino, dopo la sua improvvisa scomparsa, avvenuta il 25 Settembre 2017, alla fine di una piacevole chiacchierata con me, al cellulare, mentre in macchina si stava recando a ritirare in fonderia alcune sculture bronzee dedicate ai Pontefici del Ventesimo e Ventunesimo secolo che sarebbero state esposte in una sua nuova mostra. Tra le quali, di particolarissima suggestione, un drammatico altorilievo raffigurante papa Francesco circondato da mani in cerca di aiuto da parte di naufraghi in procinto di annegare tra onde marine impazzite e barconi in frantumi. Fin troppo chiaro il riferimento-monito alle tragedie del Mediterraneo “diventato tomba di migliaia di migranti in fuga da guerre, fame, oppressioni, malattie, come denunzia con forza il Pontefice”, era solito spiegare Vito La Rocca nel presentare i suoi nuovi soggetti presi a modello “dalle tragedie del mare” o da altre calamità come le guerre, le violenze quotidiane.
Un mondo d’arte scultorea, e non, quello di mio fratello, legato alle dinamiche quotidiane - strettamente personale, ma non per questo meritevole di essere lasciato nel dimenticatoio – sul quale tornano ad accendersi formalmente i riflettori del nuovo centro culturale che ad Itri viene inaugurato il 25 Settembre per ricordarne la figura, l’opera e la vasta produzione artistica, lo “Studio ArteViva – Vito La Rocca” in piazza Annunziata.
Un centro nato con l’ambizione di diventare punto di riferimento artistico-culturale, cenacolo di incontri e di produzione di eventi sulle varie forme d’arte, a partire dalla scultura, la pittura e la fotografia, a cui l’artista itrano ha dedicato tutta la sua vita, spiega il fotoreporter Amedeo Masella, storico collaboratore di Vito La Rocca, direttore artistico dello Studio. Una ambizione, ma anche un piacevole disegno utopico accarezzato per tenere viva quell’amore per l’arte che ha caratterizzato la vita di mio fratello fin dai primi passi, interrotta bruscamente, troppo in fretta, proprio nel momento in cui sulle sue sculture stavano per accendersi attenzioni ed interessi impensabili prima del suo incontro col maestro Emilio Greco.
“Le sue fonti ispiratrici sono state molteplici, in primis il sacro, ma senza dimenticare soggetti legati alla cultura classica e alla quotidianità. Significativamente, però, le ultime opere di Vito La Rocca erano dedicate a Madre Teresa, che ha ritratto attraverso busti e bassorilievi, da sola e insieme alle Missionarie della Carità, il suo ordine religioso, raffiguranti i momenti salienti della sua vita di missionaria tra la gente comune, poveri, ed i grandi della terra, Pontefici, Capi di Stati, Case regnanti. Opere destinate in gran parte per arredare, su decisione del Vaticano, la nuova parrocchia romana che il Vicariato di Roma ha dedicato a Madre Teresa sulla scia del Grande Giubileo del 2000”, ricorda il direttore Masella all’inaugurazione dello “Studio ArteViva”, contrassegnata dalla benedizione da parte del parroco don Guerino Piccione, il disvelamento della targa commemorativa e della vetrina dedicata alle immagini (foto, sculture, manifesti…) dell’artista all’ingresso dello studio, presenti autorità cittadine, amici e conoscenti. Tra i familiari, la moglie Silvana Sepe, i figli Daniele, Tiziana, Cinzia. E tanti amici. Persino, un bel gruppo di colleghi di corso negli anni dell’Istituto d’Arte di Cascano e dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Come dire, una piccola-grande storia artistica che continua.
Fonte: Famiglia Cristiana
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