societa

Il carattere paradossale della vita umana

Paola Ricci Sindoni Unsplash
Pubblicato il 25-10-2021

Libera e insieme dipendente, aperta sull'orizzonte dell'eternità 

L'orizzonte semantico del termine vita abbraccia una molteplicità di aspetti, un ventaglio di significati e, forse più di ogni altro oggetto della riflessione filosofica, sta ad avvisarci che i concetti astratti, le argomentazioni teoriche, i sistemi speculativi falliscono ogni volta che pensano di piegare gli eventi della vita a delle dissertazioni solo concettuali. Il filosofo dunque deve aggirarsi intorno a questa complessa manifestazione con l'umiltà di chi sa di non esserne l'artefice, ma soltanto un osservatore privilegiato, in grado - quando ci riesce - di formulare le giuste domande e di dar conto di alcune sue spettacolari espressioni. Mai deve ritrarsi dal dovere di osservarne gli aspetti più significativi, cercando in primo luogo di ridire con le parole i modi del suo manifestarsi: la vita dell'uomo, come di tutti gli altri esseri viventi (animali e piante) è infatti dotata, a differenza di altre forme presenti nell'universo, di alcune proprietà: la capacità di nascere, di accrescersi, di nutrirsi, di riprodursi, di muoversi, di sentire. Sino alla fine, quando si corrompe e svanisce. [...]

Il Novecento porta in sé le sfide più grandi: lo sviluppo vertiginoso delle scienze naturali e l'esplodere delle teorie evoluzioniste mettono a dura prova i tradizionali pilastri del pensiero occidentale con le concezioni classiche delle idee di coscienza, di responsabilità e di libertà. Le domande sulla vita, sulla sua origine, sulla condizione dell'uomo all'interno della gerarchia naturale e cosmica, tradizionalmente affidate alla riflessione filosofica e alla religione, subiscono un forte contraccolpo, costrette in tal senso a rivedere i propri assunti e ad autenticare i propri principi. La teoria dell'evoluzione, basata sulla convinzione che fra le leggi di natura dovevano essere inclusi anche il meccanicismo della selezione naturale e quello dell'adattamento responsabile del processo evolutivo che conduce fino all'uomo, sembra a tutt' oggi rappresentare, per la vasta schiera dei cognitivisti, una valida spiegazione di come si sono formati tutti gli esseri viventi esistenti, pur così vari e complessi. La novità rivoluzionaria di questa teoria era l'idea di rendere l'uomo del tutto simile all'animale non solo in ordine alla struttura somatica, ma anche in riferimento all'ordine della psiche. Ciò che appariva 'dimostrato' era che l'uomo fosse sorto sulla terra per caso, più che da un qualche tipo di progetto. Scardinata ogni teoria antropocentrica, Darwin era altresì convinto di aver portato le prove scientifiche di due punti principali: l'effettivo evento storico dell'evoluzione svoltosi nel corso dei millenni sulla Terra e la causa del processo evolutivo per selezione naturale, cioè tramite la lotta per l'esistenza e la sopravvivenza del più adatto .

Darwin aveva così ampliato gli orizzonti della ricerca sulla vita e una schiera di ricercatori si impegnò nel secolo successivo ad approfondire e a sviluppare queste ipotesi, il cui valore ben presto oltrepassò il terreno puramente scientifico per toccare nel profondo il piano filosofico, ma anche quello culturale e religioso. La fama e l'ampia diffusione della teoria darwiniana portò talvolta a oltrepassare i confini della scienza e a trasformarsi in evoluzionismo come ideologia o come interpretazione più o meno rigida del mondo nei suoi molteplici aspetti e valori. Il meccanismo evolutivo diventava in tal modo l'unico principio generatore della filosofia e della cultura e molti di questi esiti costringono anche oggi il sapere e il credere a confrontarsi. Va da sé che, come sempre avviene nella storia dei grandi processi culturali, quando un modello diviene invasivo e prevalente, interviene il movimento di quel metaforico pendolo, che garantisce un movimento opposto: è il caso del cosiddetto neovitalismo che, pur convinto della necessità di indagare i fenomeni biologici e biochimici dell'organismo, pensava fosse indispensabile ricorrere a un fattore regolativo, immanente alla vita, una forza vitale (Hans Driesch) che fosse in grado di organizzare e di guidare il processo della vita umana. Il dibattito, complesso ed esaltante, sulla vita dell'uomo è storia di oggi, sollecitata dai continui risultati scientifici, soprattutto ad opera della scoperta nel 1953 della struttura del Dna.

Quando uno scienziato come Francis Crick, che ne ha scoperto con Watsori la sequenza, afferma che l'io è solo una combinazione di zucchero e carbonio e quando nei laboratori di Edimburgo si parla di impiantare una memoria preconfezionata e completa sui malati di Alzheimer, il pendolo sembra quasi fermarsi sul versante del meccanicismo. Questa antitesi però rischia oggi di essere fuorviante e, se mai, riproposta diversamente come presenza di due orizzonti di pensiero differenti: da un lato, il riduzionismo e, dall'altro, l'antiriduzionismo. Quest' ultimo, certamente più comprensivo della complessità della vita umana, non sembra comunque garantire quella dimensione del senso, necessaria a rendere conto delle prerogative proprie della condizione umana. Per guadagnare una visione finalistica di questa esaltante avventura occorre guardare oltre, e di certo la visione cristiana offre un significativo orientamento. Visto il carattere di dipendenza e di interconnessione che regola la vita fisica e psichica dell'uomo, può essere istruttivo fare riferimento a un altro piano di riflessione, quello legato all'orizzonte della creaturalità, colta non tanto in senso mitico quanto in quello simbolico. La vita umana non si autoproduce, ma si genera grazie all'incontro tra una donna e un uomo che amandosi esprimono con l'atto sessuale l'apertura a un altro, che non è la somma di due, ma la concretizzazione di una inedita realtà vivente che è altra, autonoma e differente.

La nascita di un nuovo essere umano, staccato dalla madre eppure dipendente da lei per molto tempo ancora, diventa la cifra di un fatto inesplicabile, che soltanto un differente ordine di comprensione può illuminare. C'è infatti un'altra parola che rappresenta il «miracolo dell'inizio» (Hannah Arendt) e che l'universo biblico indica con il nome di vita creata, voluta sin dall'origine da Dio, nel segno della dipendenza e al contempo della libertà. Nessun uomo è un'isola, nessuno è padrone di se stesso e nella stupefacente legatura che unisce l'io e gli altri siamo affidati reciprocamente nella compassione e nella solidarietà. La dimensione della creaturalità è in grado di esprimere da sempre il carattere paradossale ed esaltante della vita, libera eppure dipendente, autonoma eppure segnata dalla presenza di altri, raccolta nella propria interiorità eppure necessariamente aperta al destino di tutti. C'è anche di più: la vita umana, zoé e bìos, è altro ancora: è consegnata nelle mani del Risorto, di chi ancora continua a rinviare agli impensati riflessi della presenza di Dio nel tempo. Il suo lascito rivelativo («Sarò con voi fino alla fine del mondo», Mt 28,20), pur contenendo un significativo spessore etico, si amplia nell'orizzonte dell'eternità, dal momento che il suo sacrificio perenne, fatto di corpo e sangue, alimenta quotidianamente la vita del credente, offrendo verità al suo desiderio di vita ultraterrena. Ogni vita umana, disseminata in qualsiasi parte del globo, non è estranea a questo grande disegno di Dio, quello di ricondurre tutto a sé, quel tutto di cui si è parte, e che alla fine sarà completamente spogliato dalla fragilità, dalla paura, dalla morte. (Avvenire)

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