religione

Ragazze cristiane e indù rapite e convertite all’islam

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Lei si chiama Saima Bibi, ha 15 anni ed è cristiana. E’ stata rapita, sottratta con la violenza alla sua famiglia, costretta a firmare la conversione all’islam e a sposare un uomo musulmano di nome Tanvir. Viveva placidamente nel villaggio indicato con la sigla «Chack 59» (i piccoli insediamenti in Pakistan vengono semplicemente numerati, ndr) nel distretto di Kasur, provincia del Punjab. 

In quello stesso villaggio il 14 novembre 2014 i due coniugi cristiani Shama e Shahzad Masih furono gettati in una fornace e arsi vivi da una folla di musulmani, dopo accuse di blasfemia. Una vicenda che ancora fa rumore soprattutto perchè tuttora impunita.

La 15enne Saima è stata sequestrata mentre era sola in casa. I genitori hanno sporto denuncia e ora è l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill a fornire assistenza legale gratuita. Per Gill non vi sono dubbi: «Si tratta di un caso tipico. Spesso ne sono vittime le donne che appartengono a minoranze religiose indù e cristiane». Autentici sequestri di persona, con l’aggravante di conversioni e nozze forzate, che restano impuniti: «Non esiste una normativa in materia di conversione forzata» aggiunge l’avvocato, ma il governo non intende intervenire in merito.

Secondo dati delle Ong, sono circa mille le ragazze delle minoranze religiose cristiane e indù rapite ogni anno in Pakistan. Molti altri casi non vengono nemmeno denunciati, data la complicità delle forze di polizia o di una magistratura compiacente che scoraggia le minoranze dall’intraprendere azioni giudiziarie. 

La condizione di intrinseca vulnerabilità delle comunità religiose minoritarie (in Pakistan gli indù sono circa il 2%, i cristiani l’1,5%), esposte ad abusi e discriminazioni, fa il resto. L’ingiustizia resta lì, cristallizzata e quasi istituzionalizzata.

Le organizzazioni della società civile da tempo segnalano l’entità di un fenomeno che riguarda perfino le bambine. A novembre scorso Sana John, adolescente cristiana di 13 anni, è stata rapita e convertita all’islam nei pressi di Sialkot. Per lei si spende l’Ong pakistana «Life for All», che ha constatato l’immobilismo della polizia, nonostante la denuncia. 

«Life for All» ha spiegato: «Persone influenti usano il loro potere per farla franca. I casi delle minorenni rapite sono noti, ma i tribunali e le autorità interessate chiudono un occhio. Fino a quando sarà tollerata questa ingiustizia?».

La pratica si inserisce nel quadro della condizione di subalternità della donna nella società pakistana, specie nelle aree rurali, ma le donne appartenenti alle minoranze religiose sono doppiamente vulnerabili. «Di solito – racconta a Vatican Insider l’avvocato Gill – in episodi come questo, la famiglia della vittima presenta denuncia. Il rapitore presenta una contro-denuncia affermando che la giovane ha compiuto una scelta volontaria. Quando viene chiamata a testimoniare davanti a un magistrato, la ragazza, sottoposta intanto a minacce e pressioni indicibili, dichiara di essersi convertita volontariamente e di acconsentire al matrimonio. Così il caso viene chiuso».

«Le vittime possono subire violenza sessuale, prostituzione forzata, abusi domestici o perfino finire nel giro del traffico di esseri umani. Raramente tali vicende si concludono con il ritorno delle ragazze alle loro famiglie di origine», osserva l’avvocato. (Paolo Affatato-Vatican Insider)

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