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Il senso della "difesa" - Intervista a GUIDO VENTURONI

Alessio Antonielli
Pubblicato il 30-11--0001

Ammiraglio Guido Venturoni, membro del Consiglio di Amministrazione di Finmeccanica



Finmeccanica, ancora Finmeccanica... Potrebbe essere il titolo di un film, ma non lo è. Vorrei insieme a voi fare un'analisi di questa realtà. Il motivo è una lettera giunta alla nostra redazione che ci metteva in guardia dal pubblicizzare sulla rivista “San Francesco Patrono d'Italia” la società Finmeccanica perché produttrice di armi. Conosciamo il Presidente del Gruppo e tante, tante persone che vi lavorano. E conosciamo i loro valori. La lettera però non ci ha lasciato indifferenti e abbiamo voluto approfondire il tema. Lo facciamo attraverso un'intervista con l'Ammiraglio Guido Venturoni, che ci sembra a più di un titolo l'interlocutore ideale per capire la realtà di Finmeccanica e, in generale, del mondo della Difesa. Per tutta la sua vita, l'Ammiraglio Venturoni ha lavorato infatti nella Marina Militare Italiana, fi no ad assumerne la responsabilità di Capo di Stato Maggiore. È poi stato anche Capo di Stato Maggiore della Difesa del nostro Paese ed è divenuto infi ne il primo italiano a ricoprire la carica di Chairman at the Military Committee (Presidente del Comitato Militare) della NATO. Dal 2005 è membro del Consiglio di Amministrazione di Finmeccanica.

Ammiraglio, può spiegarci innanzitutto “chi” è Finmeccanica?
Finmeccanica è, prima di ogni altra cosa, le persone che vi lavorano. So che questa risposta corre il rischio di essere interpretata come demagogica, ma è un rischio che vale la pena di assumere. Citare in primo luogo gli oltre 77.000 uomini e donne che lavorano oggi per Finmeccanica è infatti espressione di una verità incontestabile: se il Gruppo ha saputo diventare, in pochissimi anni, uno dei primi dieci attori mondiali della sicurezza e della difesa, lo si deve soprattutto alla qualità e all'estensione delle competenze di coloro che vi lavorano. E lo si deve alla loro motivazione, al loro senso di appartenenza, alla loro dedizione al loro mestiere. Per rammentare un secondo tratto qualifi cante dell'identità di Finmeccanica, ricordo che il Gruppo è l'erede di una lunga e prestigiosa tradizione industriale italiana, con radici antiche in tutto il territorio nazionale. Molti dei marchi che hanno segnato la storia del nostro Paese sono confl uiti nel perimetro di Finmeccanica e vi hanno trovato un contesto ideale per far fruttare il loro sapere: da Ansaldo ad Agusta (oggi AgustaWestland), da Offi cine Galileo (oggi SELEX Galileo) a Selenia (oggi SELEX Sistemi Integrati), da Aeritalia (oggi Alenia Aeronautica) a San Giorgio (oggi Elsag Datamat), da Telespazio a OTO Melara, per non citarne che alcuni. Infi ne, c'è una terza caratteristica che mi sembra importante ricordare: Finmeccanica è oggi uno dei paladini italiani dell'innovazione. E per “innovazione” non intendo solo i massicci investimenti del Gruppo in Ricerca & Sviluppo e i 5.200 ricercatori che lavorano nei suoi centri, ma anche e soprattutto una “cultura”. L'innovazione genera infatti impieghi qualifi cati, dinamismo imprenditoriale, spirito di cooperazione, apertura al mondo. Insomma: idee nuove a tutti i livelli e in tutti gli aspetti di un'organizzazione. Ecco chi è Finmeccanica: una straordinaria somma di competenze umane, lunghe tradizioni industriali e spirito innovativo. In Finmeccanica oggi lavorano persone di oltre 30 nazionalità diverse, in tutti i continenti: un altro modo, questo, per aprirsi al mondo attraverso vite, abitudini, esperienze, tecnologie diverse, tutte a loro volta unite da un pensiero e da un agire comune. Tutto questo può tradursi anche nella concretezza di cifre e risultati: oggi il Gruppo vanta, oltre alle sue sedi italiane, una vasta base industriale nel Regno Unito e negli Stati Uniti, una presenza crescente nei mercati emergenti de mondo, oltre 50 siti produttivi e ricavi che superano i 18 miliardi di euro.

E quali sono i “valori” di Finmeccanica, cioè – se ve ne sono – quali sono quei tratti di comportamento che il Gruppo promuove nello svolgimento delle sue attività?
Ho già citato la parola “cultura”. E la ripeto, sottolineando la valenza umanistica di questa bella parola. C'è indubbiamente una “cultura Finmeccanica”, che negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo e una condivisione più vasti e dinamici che nel passato. Finmeccanica è insomma un'impresa “culturalmente attenta”: attenta ai suoi collaboratori, attenta all'evoluzione del mondo e attenta ai bisogni della società. Lo è nel suo spirito innovativo, che ho già menzionato. Lo è nel saper conciliare questo slancio verso il nuovo con il rispetto della propria tradizione e delle competenze che ne derivano. Lo è nei suoi sviluppi tecnologici e nel modo in cui vengono progettati e proposti. Ma cerca di esserlo anche in un senso più ampio, cioè nella presa in conto delle aspirazioni e delle necessità delle comunità umane in cui è inserita. Credo infatti che il Gruppo e i suoi vertici siano pienamente consapevoli che non c'è successo possibile nell'isolamento o nell'indifferenza per chi ci circonda. E che ogni crescita durevole debba essere basata sul dialogo, sulla trasparenza e sulla solidarietà. Molti sono gli esempi concreti di queste convinzioni o valori, che sono parte integrante della cultura e del modo di agire di Finmeccanica.

Ci può fare qualche esempio preciso?
Il primo che mi sorge spontaneo riguarda l'Abruzzo. Finmeccanica ha cinque stabilimenti nella zona dell'Aquila, tra i quali alcuni sono stati gravemente danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009. Si è creato così un movimento di solidarietà interno al Gruppo, organizzato dai suoi vertici, ma animato dalla generosità di tutte le sue persone. Grazie a questo slancio collettivo, Finmeccanica è riuscita a raccogliere 4,2 milioni di euro, frutto dei contributi arrivati dai dipendenti di tutte le aziende del Gruppo nel mondo e dal coinvolgimento delle Organizzazioni Sindacali che hanno aderito all'iniziativa. Ma questo è solo un esempio recente. Finmeccanica è attiva infatti in numerosi progetti sociali, in Italia e nel mondo, convinta che la solidarietà non abbia confi ni geografi ci, politici, religiosi ed etnici. Alcune iniziative sono avviate e messe in opera direttamente dal Gruppo, come quella riguardante l'Abruzzo. Altre poggiano su un rapporto di collaborazione con soggetti attivi nel campo della solidarietà, come la Comunità di Sant'Egidio o l'International Childcare Trust, la cui storia parla chiaro in termini di passione e affi dabilità. La loro caratteristica comune è che spesso sono direttamente coinvolti i collaboratori di Finmeccanica, che vi contribuiscono non solo con donazioni, ma anche con azioni dirette a favore delle fasce più povere o fragili della società. La loro partecipazione fa sì che l'impegno del Gruppo diventi patrimonio comune e costante delle donne e degli uomini che vi lavorano, bagaglio di sensibilità e di conoscenza, moltiplicatore delle loro energie.

A chi ci consiglia di chiudere le porte al vostro Gruppo perché “non congruo” con una rivista francescana, cosa si sente di dire?
Innanzi tutto la mia, o nostra, risposta è... l'ascolto. Mi e ci piacerebbe ascoltare le ragioni di chi nutre queste ostilità nei nostri confronti e poter spiegare quello che facciamo e come. Forse non abbiamo illustrato ancora a suffi cienza e con la necessaria profondità la nostra missione e gli obiettivi delle nostre attività. In secondo luogo, vorrei ricorrere ad alcune citazioni, che forse meglio di quanto io possa dire riassumono lo spirito di chi opera, con serietà e senso di responsabilità, nel campo della Difesa. La prima è l'articolo 52 della Costituzione italiana, che recita: “La difesa della Patria è un sacro dovere del cittadino”. E a chi obiettasse che i Padri costituenti hanno scritto questo testo in altri tempi, direi che le minacce che turbano oggi i nostri orizzonti sono ancora più vaste, complesse e imprevedibili e che dunque la difesa della Patria, intesa come una terra che amiamo e le persone che ci vivono, è ancora più necessaria, diffi cile e urgente. Voglio inoltre ricordare un passo del discorso di Barak Obama, Presidente degli Stati Uniti, nel momento in cui ricevette il Premio Nobel per la Pace: «... come capo di stato che ha giurato di proteggere e difendere la propria nazione, non posso farmi guidare solo dagli esempi di Gandhi e King. Io devo affrontare il mondo com'è e non posso rimanere inerte davanti alle minacce verso il popolo americano. Non lasciamoci ingannare: il male nel mondo esiste». Infi ne vorrei spiegare, molto brevemente, che cosa signifi ca oggi “difesa”. Proprio perché le minacce al vivere civile sono cambiate, hanno assunto forme nuove, imprevedibili e pericolose, il confi ne tra la difesa tradizionale e la sicurezza di tutti è sempre più sottile, fi no a diventare, spesso inesistente. “Difendere” signifi ca dunque, certamente, fabbricare anche strumenti bellici. Ma signifi ca soprattutto progettare sistemi avanzati che consentano di prevenire i rischi, monitorare le minacce, proteggere le persone quando viaggiano, si riuniscono, vanno a una partita o a uno spettacolo o a scuola, percorrono una strada di notte. Insomma, senza scendere in tecnicismi, le tecnologie della difesa e della sicurezza sono sempre più spesso “duali”. Servono senza dubbio in aree di manovra, quando necessario. Ma vengono impiegate anche tutti i giorni per proteggere luoghi, infrastrutture e persone nella loro vita quotidiana. Citare questo mutamento del mondo in cui viviamo non signifi ca negare la realtà: noi siamo e rimarremo un'industria che produce, anche, tecnologie belliche. Signifi ca piuttosto spiegarne l'impiego e ricordare un punto fondamentale: lo scopo di queste tecnologie è prima di tutto “difendere”. E “difendere” cose, persone e valori a noi cari, credo sia una prerogativa indispensabile per ogni società civile.

Secondo lei dunque qual è il punto di congiunzione tra etica e armi?
Anche qui mi rifarei a una citazione, riportando un passo di un'intervista di Piero Sansonetti a Roberta Pinotti, Senatrice PD e Presidente della Commissione Difesa della Camera dal 2006 al 2008. Quando le è stato chiesto cosa ne pensasse del contrasto evidente che esiste tra armamenti e pace, la Senatrice Pinotti rispose: «Se noi ammettiamo l'idea che gli Stati vadano difesi e dunque che le forze armate debbano esistere, non possiamo poi indignarci ogni volta che si producono o si vendono delle armi». E aggiunse: «Una cosa è proibire certi tipi di armi, che sono eticamente inaccettabili, l'altra è ottenere un esercito che abbia una cultura civile, che non sia formato da Rambo, che rispetti la Costituzione e quindi che concepisca il suo impegno solo come un impegno di difesa». Ecco, direi che il punto d'incontro è questo: la legittimità della difesa, le sue regole, la sua cultura, le sue “regole d'ingaggio”, il suo rispetto delle leggi. E vi assicuro, per esperienza diretta di entrambi questi mondi, che è nel rispetto delle leggi, dell'umanità e della civiltà che lavorano sia Finmeccanica sia le Forze Armate italiane.

Cosa si può fare per riuscire ad aprire un dialogo costruttivo con chi la pensa diversamente?
Credo che il dibattito sul tema “etica e difesa” sia vasto e vada approfondito. E credo che un confronto aperto tra chi ha opinioni diverse sia utile a entrambe le parti: ognuno avrebbe, penso, qualcosa da imparare dall'altro. Eugenio Scalfari un giorno ci disse, proprio ad Assisi: «Se mettiamo due fondamentalisti uno di fronte all'altro non si troveranno mai. Se invece riuscissero a raccontarsi fi nirebbe in maniera diversa». Credo che abbia più che ragione. Dovremmo davvero riuscire a “raccontarci”, noi per primi. Per questo Finmeccanica ha promosso in varie occasioni momenti d'incontro. Il prossimo sarà una Tavola Rotonda, dedicata al rapporto tra l'aspirazione alla pace, i sistemi di difesa e la società civile, che si svolgerà presso il Sacro Convento di Assisi nel prossimo settembre. Ci auguriamo sinceramente che sia un'opportunità in più per uscire dagli “ideologismi” e creare le condizioni per collaborare ed comprendersi. Penso sia questa la sola strada che ci permetta di migliorarci. E di migliorare la società in cui viviamo.

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