Le visite dei pontefici
Ammiraglio Guido Venturoni, membro del Consiglio di Amministrazione di Finmeccanica
Finmeccanica, ancora Finmeccanica... Potrebbe
essere il titolo di un film, ma non
lo è. Vorrei insieme a voi fare un'analisi
di questa realtà. Il motivo è una lettera
giunta alla nostra redazione che ci metteva
in guardia dal pubblicizzare sulla rivista
“San Francesco Patrono d'Italia” la società
Finmeccanica perché produttrice di armi.
Conosciamo il Presidente del Gruppo e tante,
tante persone che vi lavorano. E conosciamo
i loro valori. La lettera però non ci
ha lasciato indifferenti e abbiamo voluto
approfondire il tema.
Lo facciamo attraverso un'intervista con
l'Ammiraglio Guido Venturoni, che ci sembra
a più di un titolo l'interlocutore ideale
per capire la realtà di Finmeccanica e, in
generale, del mondo della Difesa.
Per tutta la sua vita, l'Ammiraglio Venturoni
ha lavorato infatti nella Marina Militare
Italiana, fi no ad assumerne la responsabilità
di Capo di Stato Maggiore. È poi stato anche
Capo di Stato Maggiore della Difesa del
nostro Paese ed è divenuto infi ne il primo
italiano a ricoprire la carica di Chairman
at the Military Committee (Presidente del
Comitato Militare) della NATO. Dal 2005 è
membro del Consiglio di Amministrazione
di Finmeccanica.
Ammiraglio, può spiegarci innanzitutto
“chi” è Finmeccanica?
Finmeccanica è, prima di ogni altra
cosa, le persone che vi lavorano. So
che questa risposta corre il rischio di
essere interpretata come demagogica,
ma è un rischio che vale la pena
di assumere. Citare in primo luogo gli
oltre 77.000 uomini e donne che lavorano
oggi per Finmeccanica è infatti
espressione di una verità incontestabile:
se il Gruppo ha saputo diventare,
in pochissimi anni, uno dei primi dieci
attori mondiali della sicurezza e della
difesa, lo si deve soprattutto alla qualità
e all'estensione delle competenze
di coloro che vi lavorano. E lo si deve
alla loro motivazione, al loro senso di
appartenenza, alla loro dedizione al
loro mestiere. Per rammentare un secondo
tratto qualifi cante dell'identità
di Finmeccanica, ricordo che il Gruppo
è l'erede di una lunga e prestigiosa tradizione
industriale italiana, con radici
antiche in tutto il territorio nazionale.
Molti dei marchi che hanno segnato la
storia del nostro Paese sono confl uiti
nel perimetro di Finmeccanica e vi
hanno trovato un contesto ideale per
far fruttare il loro sapere: da Ansaldo
ad Agusta (oggi AgustaWestland), da
Offi cine Galileo (oggi SELEX Galileo) a
Selenia (oggi SELEX Sistemi Integrati),
da Aeritalia (oggi Alenia Aeronautica)
a San Giorgio (oggi Elsag Datamat), da
Telespazio a OTO Melara, per non citarne
che alcuni. Infi ne, c'è una terza
caratteristica che mi sembra importante
ricordare: Finmeccanica è oggi uno
dei paladini italiani dell'innovazione. E per “innovazione” non intendo solo
i massicci investimenti del Gruppo in
Ricerca & Sviluppo e i 5.200 ricercatori
che lavorano nei suoi centri, ma anche
e soprattutto una “cultura”. L'innovazione
genera infatti impieghi qualifi cati,
dinamismo imprenditoriale, spirito
di cooperazione, apertura al mondo.
Insomma: idee nuove a tutti i livelli e
in tutti gli aspetti di un'organizzazione.
Ecco chi è Finmeccanica: una straordinaria
somma di competenze umane,
lunghe tradizioni industriali e spirito
innovativo. In Finmeccanica oggi lavorano
persone di oltre 30 nazionalità
diverse, in tutti i continenti: un altro
modo, questo, per aprirsi al mondo
attraverso vite, abitudini, esperienze,
tecnologie diverse, tutte a loro volta
unite da un pensiero e da un agire comune.
Tutto questo può tradursi anche
nella concretezza di cifre e risultati:
oggi il Gruppo vanta, oltre alle sue sedi
italiane, una vasta base industriale nel
Regno Unito e negli Stati Uniti, una
presenza crescente nei mercati emergenti
de mondo, oltre 50 siti produttivi
e ricavi che superano i 18 miliardi di
euro.
E quali sono i “valori” di Finmeccanica,
cioè – se ve ne sono – quali sono quei
tratti di comportamento che il Gruppo
promuove nello svolgimento delle sue
attività?
Ho già citato la parola “cultura”. E la ripeto,
sottolineando la valenza umanistica
di questa bella parola. C'è indubbiamente
una “cultura Finmeccanica”,
che negli ultimi anni ha conosciuto uno
sviluppo e una condivisione più vasti e
dinamici che nel passato. Finmeccanica
è insomma un'impresa “culturalmente
attenta”: attenta ai suoi collaboratori,
attenta all'evoluzione del mondo e
attenta ai bisogni della società. Lo è
nel suo spirito innovativo, che ho già
menzionato. Lo è nel saper conciliare
questo slancio verso il nuovo con il rispetto
della propria tradizione e delle
competenze che ne derivano. Lo è nei
suoi sviluppi tecnologici e nel modo in
cui vengono progettati e proposti. Ma
cerca di esserlo anche in un senso più
ampio, cioè nella presa in conto delle
aspirazioni e delle necessità delle comunità
umane in cui è inserita. Credo
infatti che il Gruppo e i suoi vertici
siano pienamente consapevoli che non
c'è successo possibile nell'isolamento o
nell'indifferenza per chi ci circonda. E
che ogni crescita durevole debba essere
basata sul dialogo, sulla trasparenza e
sulla solidarietà. Molti sono gli esempi
concreti di queste convinzioni o valori,
che sono parte integrante della cultura
e del modo di agire di Finmeccanica.
Ci può fare qualche esempio preciso?
Il primo che mi sorge spontaneo riguarda
l'Abruzzo. Finmeccanica ha cinque
stabilimenti nella zona dell'Aquila, tra
i quali alcuni sono stati gravemente
danneggiati dal sisma del 6 aprile
2009. Si è creato così un movimento
di solidarietà interno al Gruppo, organizzato
dai suoi vertici, ma animato
dalla generosità di tutte le sue persone.
Grazie a questo slancio collettivo,
Finmeccanica è riuscita a raccogliere
4,2 milioni di euro, frutto dei contributi
arrivati dai dipendenti di tutte le
aziende del Gruppo nel mondo e dal
coinvolgimento delle Organizzazioni
Sindacali che hanno aderito all'iniziativa.
Ma questo è solo un esempio recente. Finmeccanica è attiva infatti in
numerosi progetti sociali, in Italia e nel
mondo, convinta che la solidarietà non
abbia confi ni geografi ci, politici, religiosi
ed etnici. Alcune iniziative sono
avviate e messe in opera direttamente
dal Gruppo, come quella riguardante
l'Abruzzo. Altre poggiano su un rapporto
di collaborazione con soggetti
attivi nel campo della solidarietà, come
la Comunità di Sant'Egidio o l'International
Childcare Trust, la cui storia
parla chiaro in termini di passione e
affi dabilità. La loro caratteristica comune
è che spesso sono direttamente
coinvolti i collaboratori di Finmeccanica,
che vi contribuiscono non solo con
donazioni, ma anche con azioni dirette
a favore delle fasce più povere o fragili
della società. La loro partecipazione
fa sì che l'impegno del Gruppo diventi
patrimonio comune e costante delle
donne e degli uomini che vi lavorano,
bagaglio di sensibilità e di conoscenza,
moltiplicatore delle loro energie.
A chi ci consiglia di chiudere le porte
al vostro Gruppo perché “non congruo”
con una rivista francescana, cosa si sente
di dire?
Innanzi tutto la mia, o nostra, risposta
è... l'ascolto. Mi e ci piacerebbe
ascoltare le ragioni di chi nutre queste
ostilità nei nostri confronti e poter
spiegare quello che facciamo e come.
Forse non abbiamo illustrato ancora a
suffi cienza e con la necessaria profondità
la nostra missione e gli obiettivi
delle nostre attività. In secondo luogo,
vorrei ricorrere ad alcune citazioni,
che forse meglio di quanto io possa
dire riassumono lo spirito di chi opera,
con serietà e senso di responsabilità,
nel campo della Difesa. La prima è
l'articolo 52 della Costituzione italiana,
che recita: “La difesa della Patria
è un sacro dovere del cittadino”. E a
chi obiettasse che i Padri costituenti
hanno scritto questo testo in altri
tempi, direi che le minacce che turbano
oggi i nostri orizzonti sono ancora
più vaste, complesse e imprevedibili e
che dunque la difesa della Patria, intesa
come una terra che amiamo e le
persone che ci vivono, è ancora più
necessaria, diffi cile e urgente. Voglio
inoltre ricordare un passo del discorso
di Barak Obama, Presidente degli Stati
Uniti, nel momento in cui ricevette
il Premio Nobel per la Pace: «... come
capo di stato che ha giurato di proteggere
e difendere la propria nazione,
non posso farmi guidare solo dagli
esempi di Gandhi e King. Io devo affrontare
il mondo com'è e non posso
rimanere inerte davanti alle minacce
verso il popolo americano. Non lasciamoci
ingannare: il male nel mondo
esiste». Infi ne vorrei spiegare, molto
brevemente, che cosa signifi ca oggi
“difesa”. Proprio perché le minacce
al vivere civile sono cambiate, hanno
assunto forme nuove, imprevedibili
e pericolose, il confi ne tra la difesa
tradizionale e la sicurezza di tutti è
sempre più sottile, fi no a diventare,
spesso inesistente. “Difendere” signifi
ca dunque, certamente, fabbricare
anche strumenti bellici. Ma signifi ca
soprattutto progettare sistemi avanzati
che consentano di prevenire i rischi,
monitorare le minacce, proteggere le
persone quando viaggiano, si riuniscono,
vanno a una partita o a uno
spettacolo o a scuola, percorrono una
strada di notte. Insomma, senza scendere
in tecnicismi, le tecnologie della
difesa e della sicurezza sono sempre
più spesso “duali”. Servono senza dubbio in aree di manovra, quando
necessario. Ma vengono impiegate
anche tutti i giorni per proteggere
luoghi, infrastrutture e persone nella
loro vita quotidiana. Citare questo
mutamento del mondo in cui viviamo
non signifi ca negare la realtà: noi
siamo e rimarremo un'industria che
produce, anche, tecnologie belliche.
Signifi ca piuttosto spiegarne l'impiego
e ricordare un punto fondamentale:
lo scopo di queste tecnologie è prima
di tutto “difendere”. E “difendere”
cose, persone e valori a noi cari, credo
sia una prerogativa indispensabile per
ogni società civile.
Secondo lei dunque qual è il punto di
congiunzione tra etica e armi?
Anche qui mi rifarei a una citazione,
riportando un passo di un'intervista
di Piero Sansonetti a Roberta Pinotti,
Senatrice PD e Presidente della
Commissione Difesa della Camera
dal 2006 al 2008. Quando le è stato
chiesto cosa ne pensasse del contrasto
evidente che esiste tra armamenti e
pace, la Senatrice Pinotti rispose: «Se
noi ammettiamo l'idea che gli Stati
vadano difesi e dunque che le forze
armate debbano esistere, non possiamo
poi indignarci ogni volta che si
producono o si vendono delle armi».
E aggiunse: «Una cosa è proibire certi
tipi di armi, che sono eticamente
inaccettabili, l'altra è ottenere un
esercito che abbia una cultura civile,
che non sia formato da Rambo, che
rispetti la Costituzione e quindi che
concepisca il suo impegno solo come
un impegno di difesa». Ecco, direi che
il punto d'incontro è questo: la legittimità
della difesa, le sue regole, la sua
cultura, le sue “regole d'ingaggio”, il
suo rispetto delle leggi. E vi assicuro,
per esperienza diretta di entrambi
questi mondi, che è nel rispetto delle
leggi, dell'umanità e della civiltà che
lavorano sia Finmeccanica sia le Forze
Armate italiane.
Cosa si può fare per riuscire ad aprire
un dialogo costruttivo con chi la pensa
diversamente?
Credo che il dibattito sul tema “etica e
difesa” sia vasto e vada approfondito. E
credo che un confronto aperto tra chi ha
opinioni diverse sia utile a entrambe le
parti: ognuno avrebbe, penso, qualcosa
da imparare dall'altro. Eugenio Scalfari
un giorno ci disse, proprio ad Assisi:
«Se mettiamo due fondamentalisti uno
di fronte all'altro non si troveranno
mai. Se invece riuscissero a raccontarsi
fi nirebbe in maniera diversa». Credo
che abbia più che ragione. Dovremmo
davvero riuscire a “raccontarci”, noi
per primi. Per questo Finmeccanica ha
promosso in varie occasioni momenti
d'incontro. Il prossimo sarà una Tavola
Rotonda, dedicata al rapporto tra l'aspirazione
alla pace, i sistemi di difesa e la
società civile, che si svolgerà presso il
Sacro Convento di Assisi nel prossimo
settembre. Ci auguriamo sinceramente
che sia un'opportunità in più per uscire
dagli “ideologismi” e creare le condizioni
per collaborare ed comprendersi.
Penso sia questa la sola strada che ci
permetta di migliorarci. E di migliorare
la società in cui viviamo.
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