Le visite dei pontefici
Dopo aver musicato i Salmi ed avere cantato
davanti a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI,
Lucio apre il suo animo e parla del suo mondo
spirituale. “Sono credente e praticante, non
mi perdo una messa e giro col rosario in tasca”.
Ma parla anche di Sanremo, del crocifi sso,
del suo album Angoli nel cielo, del desiderio di
dedicarsi al cinema. Un ritratto inedito di uno
dei mostri sacri della canzone italiana.
“Purtroppo non ho potuto partecipare all'incontro
del Papa con gli artisti il 21 di novembre
nella Cappella Sistina. Ero su cinque/sei
cose contemporaneamente. Ho però incontrato
Benedetto XVI a Loreto durante l'incontro coi
papaboys”. Parla Lucio Dalla, uno dei “mostri
sacri” della canzone italiana. Un artista
che, negli anni, ha sbaragliato ogni luogo
comune. E lo si è capito nel suo bellissimo
concerto a Scala, nell'ambito del festival
“Scala incontra New York”. È cambiato rimanendo
se stesso. Perso l'istrionismo di un
tempo, ha avuto il coraggio di andare in
profondità. Basta sentire il più “dalliano”
degli album, quell'Angoli nel cielo che sta
scalando le classifi che. Come smagnetizzare
il dolore, prendere a schiaffi
l'orrore, ballare col cuore, sparare
alla maledizione e, anzi tutto,
rivestire la musica di vita. La
parola nella sua pura trasparenza.
“Nella vita di un uomo c'è sempre
un Dio in agguato” scriveva
Georges Bernanos. Strappo, differenza,
conversione? Chissà! Termini
grossi e impegnativi. Il Lucio
Dalla di oggi ti sorprende
ed incanta. È un affabulatore dello spirito.
Un guru dell'anima. Oserei quasi dire un
“missionario del pentagramma”, un “giullare
di Dio”. La prova? Questa intervista strana
e singolare, imprevedibile, che spazia su
tanti argomenti. Da Alda Merini a Sanremo,
da Giovanni Paolo II ai crocifi ssi e alle
statuine del presepio. E altro ancora.
Sei d'accordo su quanto ha
detto Benedetto XVI che
l'arte, quindi anche la
musica, è “epifania della
bellezza di Dio”?
Assolutamente. A prescindere
dal fatto che
l'abbia detto il Papa.
Io sono convinto di
questo, perché è uno
dei regali che il cielo
fa alla nostra anima.
Questa è una delle fonti
della nostra ispirazione.
Sei “esperto” di Papi. Hai cantato al concerto
eucaristico di Bologna davanti a
Giovanni Paolo II. Il primo concerto
rock con un Papa presente. C'erano anche
Celentano, Morandi, Bob Dylan.
Quello fu uno dei grandi incontri della miavita. Io, se ricordi, ero uno dei co-produttori
dell'evento e suonai con Petrucciani...
Quel concerto fu anche un capolavoro
di Bibi Ballandi.
Sì, e la serata fu straordinaria anche per le
emozioni che ci trasmise. Ho ancora negli
occhi lo sforzo di Giovanni Paolo II di alzarsi
per andare incontro a Petrucciani e
quello di Petrucciani di salire, senza riuscirci,
i gradini che lo separavano dal Papa. Ci
fu solo un abbraccio a distanza. Ho cantato
per Papa Wojtyla in San Pietro e alla
Sala Nervi in Vaticano.
E sei riuscito a dirgli qualcosa?
Non molto. Mi sono stupito per l'affabilità
del Papa nei confronti delle manifestazioni
artistiche. Lui che aveva fatto l'attore, che
aveva una bellissima voce come cantante.
Stavo per musicare dei testi scritti da Karol
Wojtyla. Io sono credente...
Credente ma forse non praticante...
No, sono assolutamente “praticante”, magari
con grande sforzo, ma praticante.
Questa, perdonami, non me l'aspettavo.
Io non perdo una messa, perché è l'unico
obbligo – diciamo così – “tecnico” della
mia fede. La vivo come una piccola costrizione,
ma fa parte del mio rapporto senza
interruzione col mio credere.
Avevi già fatto una cosa bellissima: musicare
i Salmi. Nella tua carriera è un'impresa
luminosa.
Noi veniamo da lì. È il nostro linguaggio.
La parola è ancora viva perché ha una matrice
metareligiosa. È stato un lavoro massacrante
sulla lingua, sull'ethos spirituale
dei Salmi. Oltretutto era musica inedita e
la facevo trasportato dal grande pathos linguistico
di quei versi, dalla loro profondità
così anomala rispetto ad una società come
la nostra. Un lavoro che mi ha coinvolto
in pieno.
Ho letto che sei stato intrigato anche dallepoesie di Alda Merini.
Sì, nel 2008 con Marco Alemanno ho realizzato
un reading su “Francesco. Canto di
una creatura” della Merini nello scenario
suggestivo della Baslica Superiore di Assisi.
Una esperienza ripetuta a Milano nella Basilica
dei Frati Minori Cappuccini.
Le tue canzoni sono sempre canzoni
molto evocative. Ecco, più che non la
rima cuore-amore con una spruzzatina di
sesso, ci danno atmosfere. Sono mondi,
visioni della vita. Possiamo defi nirle così?
Anche secondo me. Non sono neanche
punti di vista, che sono una forma riduttiva,
anche se precisa. Ho sempre cercato
di interpretare l'aspetto più umano, più
legato agli uomini, quindi, per forza di
cose, legato a Dio. Io, personalmente, mi
sento dentro un'ampolla che mi connette
con l'esterno. Di notte, ad esempio, vado
a concentrarmi sulla terrazza di casa mia
a Bologna. Non c'è niente che mi divide
dal cielo, neanche dal cielo che ho dentro.Le cose mi ronzano intorno: il fi schio di
un treno lontano, l'abbaiare dei cani, la
sirena di una croce rossa, suoni e visioni.
Non vorrei essere sacrilego: comincio con
le preghiere classiche, dopo viene questo...
“mantra”. È una unione di segni che mi
danno una grande piacevolezza e pienezza
di spirito, è il momento artistico. Hai capito?
E ciò parte dalla convinzione che dentro ogni uomo c'è Dio. Non è un dubbio,
è una certezza. Dentro di me c'è il mio
Dio. È una unione spirituale che avverto
ogni volta che mi metto a pregare.
Hai spiegato come avviene quella che
chiamiamo “ispirazione”, come nasce e
si sviluppa. La tua è una musica di impegno
sociale. Penso a “ Piazza Grande”
del 1972, a Sanremo, dedicata mi pare ad
un senzatetto. Sbaglio? E questa cifra è
rimasta.
Se per caso dovessi zoppicare sarebbe
un segno completamente diverso da un
handicap. È il mondo degli altri la prima
cosa che colgo. Non sono capace, neanche
lontanamente, di rifi utare qualcuno, non
sono insensibile verso chi soffre.
Non meravigliarti di questa domanda. A
Sanremo anche canzoni in dialetto, magari
sottotitolate. Che ne pensi ?
Beh, che è un delirio! Non è che non vada
bene. Uno può cantare anche in una lingua che non c'è. Teorie del genere si possono
giustifi care più che sotto il profi lo politico
sotto quello sociologico o demenziale.
Prima togliamo i crocifissi, poi i presepi.
E poi?
Io giro con il mio rosario da boyscout
e, vicino al mio rosario da boyscout, ho
una stella di David. I segni rafforzano la
convinzione e, soprattutto, credo che un
segno così preciso è fondamentale nella
nostra comunicazione, da Cristo in poi. Fa
parte del nostro DNA, del nostro spirito.
Quando Attila venne a Roma per metterla
a saccheggio fu fermato da Papa Leone I
che innalzava una croce grandissima. Gli
unni si fermarono, memori del fatto che,
quando pregavano, piantavano nel terreno
le spade con l'elsa a forma di croce. Il simbolo
è stato più forte della vendetta e della
sete di conquista; ha agito da deterrente.
Attila non poteva combattere contro quel
simbolo davanti al quale il suo popolo si
prostrava. E girò il cavallo e se ne tornò
indietro.
Per chi crede nello spirito di Dio
fu un miracolo. Il linguaggio simbolico
funzionò. La croce è la nostra cultura e mi
piacerebbe che accanto alla croce ci fosse
la stella di Davide e - perché no – la mezzaluna
dell'Islam.
“E ancora adesso che gioco a carte e bevo
vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù
Bambino” versi della tua canzone Quattro
marzo. La sacralità del nome non è come
un timbro postale, è un processo di avvenimenti,
supera le nostre meschinità.
Perché, Lucio, i tuoi fan e non solo, dovrebbero
acquistare il tuo ultimo album
Angoli nel cielo?
È uno dei dischi migliori che ho fatto, forse
è tra i primi tre di tutta la mia storia. C'è
un rapporto diretto coi giovani. C'è una
canzone che si chiama “Controvento”. Io
immagino di parlare con un ragazzo cui
do istruzioni per navigare controvento,
per essere lui il protagonista del viaggio,
per difendersi dagli sciacalli della terra che
ti insegnano a vivere male. La frase fi nale
dice: “Gesù Cristo era un pezzente, tutto meno
che potente, sporco e nudo sulla croce per non diventare
un re”. C'è il rifi uto della ricchezza e
dei privilegi. I valori in gioco sono altri.
Ci stai abituando a tanti strappi. L'ultimo?
Ma sai, strappi fi no ad un certo punto. C'è
una correzione della mia strada, che non
faccio da solo. Il mio cammino non è prescindibile
dalla mia convinzione, dalla mia
fede in Gesù. Certo, ho buttato per aria un
mondo. Che Dio mi benedica!
Il cinema ti piace. Nel futuro di Dalla,
dopo quello di cantante, avremo quello
di attore e regista?
Ho fatto molte regie – non di cinema – ma
di teatro, di opera, penso alla “Tosca amore
disperato” con la grande orchestra dei Pomeriggi
Musicali diretta dal maestro Beppe
D'Onghia. Nell'archetipo c'è la fede come
coraggio, come contributo al cambiamento del mondo. Ho composto tante musiche
da fi lm. Il mio grande sogno, è vero,
è quello di scrivere la sceneggiatura di un
fi lm e magari di farlo.
Il ritratto che esce da questa conversazione
mi lascia stupefatto. Chi avrebbe
immaginato un Lucio Dalla così!
(Dalla è emozionato, cambia voce). Guarda,
sono un uomo fortunato. La vera dinamica
dell'uomo è questo processo di maturazione
o di semplifi cazione del proprio “io
religioso”. Non riesco a capire il fenomeno
dell'ateismo, che non vuol dire vivere senza
Dio, ma, in modo infantile, non pensarci,
o vederlo dall'altra parte del fi ume.
E invece Dio è talmente dentro di noi. È
una scoperta che possiamo fare tutti e che
possiamo vivere nella sua leggerezza.
Potresti usare la frase di Sant'Agostino:
“Il nostro cuore è inquieto finché non riposa
in Te”.
Ah, non c'è dubbio! Ho anche l'ambizione
di dire che qualche volta, Cristo, che
lo sento vicino a me più di qualsiasi altra
forma, possa anche riposarsi o mettere un
orecchio alle cose che faccio (ride)... per migliorarle,
eh!... mica per imparare!
Magari in prima fi la per ascoltarti...
Spero proprio di sì!
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