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Legge di fine vita, un supplemento d'anima

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

L'iter parlamentare del testo di legge



Procede l'iter di approvazione del testo di legge sul fine vita, attualmente in esame alla Commissione Affari sociali della Camera. Un punto di fondamentale importanza è quello che riguarda le direttive anticipate (Dat). Che valore possono assumere? Soprattutto, in quale contesto possono essere espresse? Domenico Di Virgilio ha opportunamente notato che si devono collocare all'interno dell'alleanza terapeutica tra medico e paziente. Così avviene nel testo approvato dal Senato.
Infatti, il diritto di autodeterminazione, per non volgersi contro gli interessi della persona stessa, necessariamente deve lasciare uno spiraglio alla revisione di quanto deciso in precedenza. Queste indicazioni non possono essere considerate come assolute, ma come relative. Il medico deve, certamente, tenerne conto, ma, realisticamente, non può sentirsi vincolato da decisioni precedenti, per il fatto che ogni decorso della malattia può assumere caratteristiche inedite e impensabili. Inoltre, le direttive non potranno mai riconoscere al paziente l'accesso all'eutanasia; questo punto è delicato.
Alla legge è chiesto di tutelare la legittima libertà dei soggetti. E quando la libertà è vera? Benedetto XVI scrive in “Caritas in veritate” che nell'uomo la libertà è profondamente caratterizzata dal suo venire da un altro e, anche, dai suoi limiti. “Tutti sappiamo di essere dono e non risultato di autogenerazione” (68). Ciascuno plasma la propria coscienza sulla base di un “sé” che ci è stato dato: “non solo le altre persone sono indisponibili, ma anche noi lo siamo a noi stessi”. La libertà si esercita in questo contesto antropologico, in questo orizzonte, indicato dal Papa come quello della ragione aperta alla trascendenza. Infatti, sembrano oggi esistere due diversi tipi di razionalità, che conducono a scelte di segno opposto.
C'è, appunto, la razionalità della ragione aperta alla trascendenza e quella della ragione chiusa nell'immanenza. Nel primo orizzonte l'uomo considera sé stesso e il suo prossimo come un essere singolare, perché insieme di spirito e corpo; nel secondo caso si percepisce come un prodotto della natura, da valutare secondo parametri fisici e storici. La vita si risolverebbe nello spazio di questo tempo. In realtà, questa visione conduce all'irrazionalità: la chiusura a Dio non spiega adeguatamente l'uomo, non rende ragione del significato del nascere, del soffrire, del morire. Davvero, “l'umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano” (78).
La legge sul fine vita non può essere indifferente a questo contesto, il solo che può garantire l'esercizio di quelle scelte, che evitino nel concreto, egualmente, l'abbandono terapeutico e l'accanimento terapeutico. Il riferimento alla spiritualità dell'uomo, intesa come apertura alla Trascendenza, non offende nessuno, perché rivela la prospettiva adeguata e corretta, secondo cui considerare la pesrona del paziente e la persona del medico.
Tale riferimento assicura il progresso anche nel campo della medicina, applicata alla fase terminale della vita umana. Con forza Benedetto XVI afferma che ogni sviluppo – quello dei popoli e quello dei singoli – comporta, in primo luogo, una crescita spirituale. In questa prospettiva si può arginare quella che il santo Padre chiama “mens eutanasica” (75), cioè l'incapacità di considerare come degna di essere vissuta una vita apparentemente “povera”. Solo lo sguardo, che sa tenere insieme la dimensione fisica e quella spirituale, aiuta a cogliere in ogni vita umana, anche la più fragile, il valore altissimo del suo essere voluta da Dio per un fine eterno.
Quello che oggi serve è, per così dire, un supplemento d'anima, che rende l'uomo capace di percepire anche quello che non spiega con la semplice materia. Rende l'uomo di cogliere il volto dell'altro, come simile a sé, anche se necessariamente supportato da una macchina o nutrito per mezzo di un sondino. È uno sguardo urgente, perché il pericolo è l'affermarsi, forse per la prima volta nella storia, di concezioni materiali e meccanicistiche della vita umana. Giustamente, Benedetto XVI si interroga: “chi potrà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità di sviluppo”(75)?.
Se si perde il rispetto anche per una sola vita umana malata, perché ritenuta non degna di essere vissuta facilmente si diffonderà l'indifferenza anche verso altre sofferenze umane. Si instaurerà una selezione arbitraria tra ciò che viene proposto come degno di rispetto e ciò che non appare tale. In tal senso l'iter della legge – non è esagerato dire – riveste un'importanza capitale per l'autentico progresso.

da Sir

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