Le visite dei pontefici
Lo scorso anno, io e gli altri frati del Centro Francescano in Canterbury, abbiamo vissuto un'esperienza unica e coinvolgente:
abbiamo percorso a piedi lo stesso itinerario fatto dai primi frati francescani sbarcati per la prima volta in Inghilterra il 10 settembre del 1224 alla guida di beato Agnello da Pisa.
Ci siamo messi in cammino col desiderio di scavare dentro la storia di quel grande avvenimento che portò qui il messaggio di san Francesco: l'esperienza della fede in Dio e del contatto personale con Gesù Cristo.
Affrontando insieme il viaggio, abbiamo avuto la precisa sensazione di rivivere il principio di quella grande avventura iniziata quasi otto secoli fa e mai terminata.
Beato Agnello e i frati che lo seguirono, portarono la testimonianza che Dio vive, che Gesù è il Signore, che lo Spirito è la forza che ci anima. Quella esperienza missionaria della vita evangelica contribuì a convertire nella terra inglese tante persone che cercavano un senso per la loro vita.
Viene spontaneamente da riflettere e da chiedere al Leader di quell'eroico gruppo alcune cose che colpiscono profondamente e che danno coraggio al nostro apostolato.
Questa che segue è un' “intervista” con Agnello da Pisa, e vuole ricordare la grande missione nelle Isole Britanniche compiuta 780 anni fa e , ancora oggi, viva nella nostra mente e nei nostri cuori.
Frate Agnello, come è avvenuta l'idea di venire in Anglia?
“Quando il numero dei frati cominciò a crescere, frate Francesco decise che era giunta l'ora di portare il Suo messaggio in terre nuove e lontane. Promosse allora missioni in Francia, Germania, Ungheria, Spagna e in Terra Santa, così anche istituì diverse province in Italia nel 1217 e, tre anni dopo, in Portogallo. La decisione di diffondere gli ideali della vita evangelica in Anglia fu presa molto tardi, circa sette anni dopo la fondazione della vicina missione in Francia. In quel periodo ero custode a Parigi. Perché cosi tardi? Questo dipendeva dal fatto che le Isole Britanniche erano molto lontane dall'Italia, si può dire de finibus mundi. La decisione di inviare i frati proprio lì, fu presa durante il Capitolo di Pentecoste il 2 giugno 1224. In quell'occasione conobbi Sant'Antonio da Padova. E proprio lì ho ricevuto la lettera di obbedienza che mi invitava ad andare in missione; c'era scritto:
“Io, frate Francesco, Ministro Generale, ordino Te, frate Agnello da Pisa, nella virtù della Santa Obbedienza, di andare in Anglia e lì adempire ufficio del Ministro Provinciale. Saluti”.
Il reclutamento del gruppo missionario, me lo ricordo molto bene, fu condotto da Gregorio da Napoli, il ministro provinciale di Francia.”
Potresti raccontare chi era con Te nel gruppo iniziale della missione nelle Isole Britanniche e descrivere brevemente le loro caratteristiche?
Certo. Ricordo molto bene tutti. Siamo stati insieme per lungo tempo prima della preparazione e anche tutto il tempo della mia missione.
Il primo è stato frate Riccardo da Ingworth, inglese di nascita, sacerdote e predicatore, di età gia avanzata, che, per primo tra i frati, predicò alle popolazioni al di là delle Alpi. Lui è stato il mio vicario in Anglia. Era una persona molto spirituale, uomo di preghiera e di tanta umanità.
Il secondo è stato frate Guglielmo da Ashby, ancora novizio con lungo capperone, cioè indossava il cappuccio prescritto dalla regola, come distintivo per i novizi. Anche lui era inglese. Giovane di età e pieno di tante virtù, si lasciava guidare dallo Spirito di Gesù con costanza. Diede a tutti noi esempio di umiltà, di povertà, di carità, di dolcezza, di obbedienza e di pazienza. Quando frate Gregorio gli chiese se voleva andare in Anglia, rispose che non sapeva se lo voleva. Alla meraviglia che il ministro provinciale manifestò davanti a quella risposta, frate Guglielmo replicò che non sapeva se lo voleva o no perché la sua volontà non era la sua ma quella del ministro. Voleva quindi tutto ciò che il ministro voleva che egli volesse. Così anche lui venne con me. Egli stesso più tardi, soffrendo dure tentazioni carnali, per zelo di purezza, si castrò.
Grazie al suo modo di fare, si fece ascoltare da molte persone colte, con diverse problematiche e di diversa età, riuscendo a mostrare loro la via della salvezza e il potere del dolce Gesù che sa fare cose meravigliose e vincere i giganti di questo mondo.
Il terzo è stato frate Riccardo da Devon, anche lui giovane inglese, accolito, che ci ha lasciato tanti esempi di pazienza e di obbedienza. Soffrì per tanti anni di frequenti febbri.
Poi ci sono stati alcuni frati laici. Il quarto, il frate Enrico da Treviso, lombardo di nascita, è stata una persona di una grande santità e prudenza. Da quando siamo arrivati a Londra è stato scelto come guardiano della comunità.
Il quinto è stato frate Lorenzo di Beauvais, che da principio si occupò di lavori artigianali come prescriveva la Regola bollata (1223): “i frati lavorino con fedeltà e devozione, così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione” (Reg. boll. 5). Beato Francesco gli donò con tanto amore la sua tonaca, che si trova ancora ora in Inghilterra.
Il sesto frate è stato Guglielmo da Firenze, che subito dopo ritornò in Francia.
Il settimo è stato frate Meliorato. L'ottavo è stato frate Giacomo, originario d'oltralpe e ancora novizio col capperone.
Tutti quanti sono stati molto importanti per iniziare la testimonianza della vita in povertà e dell'amore fraterno.
Eravamo nove frati.”
Hai ricordato che la preparazione della partenza in Anglia è stata ben studiata. Come avete organizzato la vostra missione e chi vi è stato di aiuto per il viaggio?
“Dopo il Capitolo Generale, sono andato a Parigi per incontrare i confratelli che mi avrebbero seguito nella missione in Anglia. Al convento di s. Denis, che si trovava vicino alla chiesa parrocchiale di s. Pietro dove andavamo spesso per partecipare alla messa, sono arrivato a metà di luglio. Lì abbiamo trascorso molto tempo in preghiera in preparazione a questa missione e, ovviamente, abbiamo discusso dell'organizzazione del viaggio e delle mete da raggiungere.
Abbiamo deciso di andare a Canterbury. È stato infatti lì, con l'arrivo di Sant'Agostino nel VI sec., che il cristianesimo si era già fatto strada sul suolo inglese. Dopo l'assassinio dell'arcivescovo Tommaso Becket, le sue reliquie, custodite a Canterbury, divennero oggetto di venerazione per i miracolosi poteri di guarigione che da esse provenivano. Questa città divenne un famoso posto dove cominciarono ad arrivare pellegrini da tutta l'Anglia e da tutta l'Europa. Così l'abbiamo scelta come meta del nostro pellegrinaggio per chiedere la grazia e l'aiuto divino nella nuova missione di evangelizzazione che ci apprestavamo a compiere, chiedendo di essere fedeli nella sequela di Gesù Cristo e nel realizzare sempre la volontà di Dio.
Senza la Providenza Divina non potevamo fare nessuna mossa. Conoscevo molto bene l'abbate del monastero a Fécamp, sulle coste della Normandia, già da quando ero il Custode in Parigi. Quando siamo arrivati lì, alla fine di agosto, abbiamo chiesto l'aiuto per attraversare il canale della Manica. I monaci benedettini, dimostrando la loro benevolenza e sapendo del nostro progetto sulla missione, ci hanno dato ospitalità per più di una settimana e ci hanno organizzato il traghettamento sulle coste di Dover.”
Qual'è il mistero del vostro successo dopo l' arrivo sulle Isole Britanniche?
“Non è stato il nostro successo. Dio, nella Sua potenza, ha pensato a tutto. Noi eravamo solamente strumenti nelle sue mani. La chiesa inglese, a quell'epoca, era sulla scia della riforma morale del clero e del progresso educativo dei fedeli. Tanti giovani studiavano e conoscevano le nuove regole della vita della chiesa. Per questo avevano rispetto per le regole e cercavano nuove forme di vita religiosa. In quel momento siamo arrivati noi “mobili missionari”. Quando siamo sbarcati il 10 settembre 1224 sulle coste di Dover, la gente ci ha creduto spie dalla Normandia e ladri e ci hanno imprigionati. Non avevano mai visto frati scalzi, vestiti con una tonaca grigia piena di toppe, cinta alla vita con una corda bianca. Dopo hanno capito che eravamo venuti per portare la pace, l'entusiasmo nella vita, a dare il bene che noi gratuitamente avevamo ricevuto. La nostra semplice vita è stata vissuta nella estrema povertà, proponendo a tanti giovani uno stile di vita diverso rispetto alla società che cresceva sempre di più in potere e ricchezza.”
Oggi come può essere rinnovata la vita religiosa nella terra dove Tu hai iniziato a portare il messaggio di Francesco d'Assisi?
“Sicuramente non è facile vivere oggi da vero cristiano, come non lo è stato anche per me e per i miei confratelli. Ma con la grazia divina si possono superare tutte le difficoltà.
Il seguace di San Francesco è sulla via che porta a Dio secondo l'esempio di Gesù. Nella spiritualità del frate minore, la via verso Dio si impara attraverso la lettura della Parola di Dio, che ci permette di scoprire quello che Gesù fece e disse. Per Francesco il Vangelo dice ciò che per Lui fu regola di vita. La spiritualità del frate minore non consiste nel raggiungere la perfezione divina ma, piuttosto, aspira alla pienezza dell'umana esperienza così come è stata rivelata nella vita di Gesù. Il seguace di Francesco conduce le persone a cercare di vivere seguendo le orme di Gesù, senza domandare dove siamo o cosa facciamo.
Penso che una cosa importante per coinvolgere le persone con la nostra azione, è quella di capire che tante cose nel mondo sono la rivelazione di Dio. E' importante pregare per rendersi conto della presenza dei misteri della creazione che ci circondano ogni giorno; per comprendere il fondamentale ruolo di Cristo come rivelazione della bontà di Dio; per amare la diversità in tutta la globalità; per apprezzare più la presenza che la produttività.
Il posto dove Dio ci chiama è il posto dove la nostra profonda gioia si incontra con la profonda fame di bene che il mondo ha. E' bello vedere le persone buone, esse sono il dono dell'amore e della generosità del Creatore. Credere e insegnare che Dio è buono e che il mondo anche è buono: questa è la speranza per il nostro secolo. Seguire Gesù nella via francescana non è una chiamata alla perfezione, ma è conoscere e amare la vita nella sua pienezza.”
P. Marco Szimansky O.F.M.Conv.
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