Le visite dei pontefici
Uomo di povertà, ma anche di letizia. È un profilo quasi «nuovo» quello che emerge di San Francesco d'Assisi che scelse Rieti e la conca reatina per la prima volta nel 1208 fermandosi a Poggio Bustone. Un cammino nei luoghi di casa in cui sia la città che la sua valle giocarono un ruolo importante. Cibi e ricette comprese.
A raccontarlo è lo storico sabino Tersilio Leggio, attuale commissario straordinario dell'Apt, che descrive il paesaggio urbano e rurale dell'epoca dell'Assisiate come molto complesso e articolato. «La città – spiega – offriva un paesaggio contraddistinto dalla presenza delle antiche e imponenti mura romane che segnavano in modo marcato i limiti dello spazio urbano, con le
case che incominciavano gradualmente a debordare verso l'esterno, quasi metabolizzandole.
Molti gli edifici in legno, molti i vigneti e gli orti. Il Velino lambiva appena l'abitato, costellato da capanne dei pescatori e da piccoli approdi che accoglievano le barche dei mercanti, mentre gli artigiani ne utilizzavano le acque, che muovevano numerosi mulini a grano e folloni.
L'antico ponte romano garantiva il passaggio del fiume, mentre ad est si scorgevano ancora i resti di un altro ponte, poi crollato nella tarda antichità».
Quello descritto da Leggio è un cammino in alcuni casi tortuoso per San Francesco ma di grande stimolo per comprendere la spiritualità che lo animò in forma così veemente.
«Un uomo che amava in modo profondo la povertà senza mai disgiungerla, però, dalla letizia – continua lo storico - Una povertà volontaria e rigorosa che rendeva i frati immuni dalle
tentazioni del mondo, dalla sete di potere e di possesso. Una povertà che permetteva di essere liberi
sia fisicamente, viaggiando molto, sia spiritualmente nell'interpretare nel concreto i principi ispiratori del Vangelo».
Si spiega in questo modo come Francesco riuscì a modificare con il suo esempio molti stili di vita:
lui che seppe morire cedendo anche a qualche debolezza, come sbocconcellare i mostaccioli, fatti con mandorle, farina e miele, che Giacoma dei Settesoli gli aveva portato da Roma.
«Due piatti che Francesco apprezzava particolarmente – spiega Tersilio Leggio - erano il luccio ed il pasticcio di gamberi. I frati di Rieti ben conoscevano i gusti del santo umbro. Non a caso, quando era gravemente ammalato ed era ospitato nel palazzo del vescovo ad Assisi, aveva espresso il desiderio di poter mangiare soltanto del luccio. Nello stesso istante arrivò un messo
del ministro provinciale di Rieti, frate Gerardo, che portava in un canestro tre bellissimi lucci ben preparati e piatti di gamberi». La ricetta del pasticcio è stata tramandata da un anonimo frate francescano che doveva conoscere bene gli usi culinari della conca reatina che precisò come fosse un pasticcio composto dalla polpa e dal succo di gamberi con l'aggiunta di noci e di altre spezie, che in quel periodo erano utilizzate in misura superiore nei giorni di magro rispetto a quelli di grasso. Questa preparazione doveva essere molto diffusa, tant'è vero che gli fu offerta, insieme a pesci e ad altro cibo, mentre permaneva a Fontecolombo da una signora di un castello vicino, che distava sette miglia.
(ilTempo – Lazio Nord)
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