Le visite dei pontefici
Francesco gli ha dato spirito e
ali. E che spirito, e che ali. Ma,
senza le radici che gli avrebbe poi
dato Antonio, il francescanesimo
non sarebbe forse andato tanto
lontano. Questa affermazione, articolata
e riproposta in innumerevoli
modi diversi nel corso dei secoli,
è probabilmente paradossale
e, in qualche maniera, esagerata.
Ma un fondo di verità c'è: perché
se è fuori discussione che sia stato
il travolgente fascino di Francesco
d'Assisi a determinare il fulmineo
successo dell'ordine da lui
fondato e la sua irresistibile espansione,
è altrettanto vero che, con
ogni probabilità, senza Antonio
di Padova la sua creatura non
avrebbe resistito al contraccolpo
delle lacerazioni interne, che la
morte di Francesco portò con prepotenza
a galla. Fernando Martim de Bulhões
e Taveira Azevedo era uno delle
migliaia di giovani folgorati dalla
“novità” di San Francesco. Rampollo
di un nobile famiglia di Lisbona,
figlio di Maria Teresa Taveira
e di Martino Alfonso de' Buglioni,
entrato tra gli Agostiniani
a 15 anni, dieci anni dopo, nel
1220, abbracciò il nuovo ordine
impressionato dall'esempio di cinque
francescani che, transitati dal
Portogallo nel loro viaggio verso
il Marocco, vi rientrarono cadaveri
pochi mesi dopo, uccisi a poche
settimane dall'inizio della loro
missione. Cambiato il nome da
Fernando in Antonio, iniziò così
la sua nuova vita da francescano,
anche se le cose non andarono
esattamente come egli avrebbe voluto:
la missione in Marocco
“abortita” quasi subito per motivi
di salute, l'imbarco per la Spagna,
mai raggiunta per una tempesta
che, invece, lo portò al largo di
Messina. Lo salvarono alcuni pescatori,
che lo consegnarono al locale
convento francescano.
Non fosse stato per questa catena
di eventi sfortunati, forse Antonio
non sarebbe diventato Antonio
di Padova. Ma, per il giovane
portoghese la Provvidenza aveva
disposto diversamente. E da Messina,
raggiunti dalla notizia che
per la Pentecoste dell'anno successivo
Francesco aveva convocato
un Capitolo Generale ad Assisi,
Antonio e gli altri frati di Messina
si misero in viaggio – a piedi –
per la città umbra. Dove Antonio
conobbe Francesco, e dove, a dispetto
della sua umiltà che lo portava
quasi a nascondersi tra i cinquemila
frati che per quell'occasione
si erano ritrovati attorno alla
Porziuncola, fu notato per la
sua sapienza e preparazione. Si può dire che fu proprio il Capitolo
delle Stuoie del 1221 – così
detto perché, mancando i posti letto,
i frati dovettero dormire su
stuoie stese a terra – a segnare
l'inizio della fama di Antonio:
predicatore instancabile in Italia
e Francia, capace di affascinare
nobili e piccoli con il suo parlare
semplice ma colto e profondo al
tempo stesso, denso di una teologia
e di una forza dottrinale
all'epoca ancora rare, o acerbe,
nel giovane ordine francescano.
Predicando la pace e la mitezza,
contrastando le eresie dell'epoca
con un vigore e un rigore straordinari,
acquistando fama presso re e
papi (Gregorio IX lo avrebbe definito
«arca del Testamento», «peritissimo
esegeta», «esimio teologo
»). E, in questo tempo, contribuendo
in modo assolutamente
decisivo a ricomporre lo scontro
tra Lassisti e Spiritualisti che, già
emerso all'interno dell'Ordine
con Francesco d'Assisi ancora in
vita, alla morte del Poverello rischiava
di far deflagrare.
A Padova, Antonio sarebbe arrivato
solamente nel 1227, a 32 anni,
quattro anni prima della morte.
Scelse il convento della città veneta
come sua residenza fissa
quando fra' Giovanni Parenti,
eletto ministro generale dell'Ordine
alla morte di Francesco, lo designò
Provinciale per l'Italia settentrionale.
Un legame, quello con
Padova, cresciuto d'intensità quasi
di pari passo con la fama del frate
che, già immensa, in quei quattro
anni si accrebbe ulteriormente.
Sentendosi prossimo a morire,
di ritorno da un predicazione
chiese di poter tornare a quella
che era diventata la sua città, per
spirare lì. Non ci arrivò quel giorno,
e chiuse gli occhi all'Arcella,
in vista delle mura. Quel che successe
dopo, nel cuore del popolo
che lo amava all'infinito, è quel
che ancora oggi ogni anno muove
milioni di pellegrini da tutto il
mondo verso la sua tomba.(La Nazione)
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