Le visite dei pontefici
Chi, da qualsiasi direzione, giunge in Assisi ha l'impressione che la Città sia fatta solamente di pietra, bianca o rossa, ma sempre pietra, per le case, i monumenti, le mura. Pietra disposta a gradoni, sull'antico schema urbanistico umbro-romano che il medioevo ha mirabilmente lavorato.
Viste dal basso le case di Assisi si sommano prospetticamente, le piazze e le cesure delle strade non si notano. Ed anche percorrendo le tante viuzze o vicoli, rinserrati dai muri delle case o degli orti e giardini, gli spazi verdi appaiono poco anche perché spesso sono di dimensioni piccole o esigue.
Una delle ultime macchie verdi e stata ridimensionata dalla costruzione, negli anni cinquanta, della Pro Civitate Christiana negli orti tra Via Fontebella e Borgo S. Pietro. Ma, anche in questo caso, l'architetto ha sentito l'esigenza del verde, frazionando, nei limiti del possibile, le masse edilizie e ripiantando alberi d'alto fusto che ora, cresciuti, si inseriscono armoniosamente nel paesaggio.
Di alberi in Assisi ce ne sono, anche se non moltissimi; occupano quel tanto di suolo che lo scoscendimento del monte permette ed il tessuto medievale ha consentito di ricavare tra casa e casa, tra muro di sostegno e roccia affiorante.
Le tante case distrutte nei tempi bui delle guerre comunali o delle lotte cittadine, le abitazioni scoperchiate degli esiliati di parte avversa e mai più ricostruite, si sono trasformate in giardini od orti spesse volte al livello del tetto della casa servita come gli orti Minciotti o Bartocci. Quante porte dalle belle ogive, quante finestre a tutto sesto, alla meglio tamponate, appaiono nei muretti di cinta o di sostegno in tutte le parti della città! Dove prima c'era posta per gli uomini (Assisi ha contato anche più di quarantamila abitanti) ora c'e posto per le piante. Ma, direbbe l'urbanista, e verde privato!
E il verde pubblico?
Tra 1890 e il1910 le libere Amministrazioni Comunali del Regno d'Italia cercarono, con qualche successo, di migliorare l'aspetto della Città, da poco faticosamente, emersa dal sonnacchioso torpore dello Stato Pontificio, sollecitate dal rinato interesse per il Francescanesimo dei tanti studiosi italiani e stranieri affluiti in Assisi.
Furono aperte ed allargate strade (qualcuno dice purtroppo!): Via Cristofani, Via S. Agnese, Via Nova, Via Villamena, Via Alessi. Furono sistemate vaste aree quali Piazza S. Chiara, Porta Nova, Piazza Nova. Furono messe a dimora alberature: Largo Properzio, Borgo Aretino, Piazza S. Chiara con i giardinetti rimasti in sito sin verso gli anni venti. Tigli vennero generosamente sistemati: Piazza del Vescovado, Piazzetta dell'Erba. Le Piantarelle allo sbocco della salita Pallarani, il viale, che conduce a Piazza Nuova, anch'essa ornata da una doppia fila di gelsi di recente memoria.
In questo periodo venne completato il viale del Cimitero e si adattò a pubblico giardino la Selva dei Cappuccini con il nome, un poco pretenziosetto, di Pincio. Altri interventi anche se più modesti, si ebbero in Via S. Paolo e Via Giorgetti, ma non si hanno notizie di lavori nella Selva dei Frati, forse per un senso di timoroso rispetto per un lembo cosi bello di paesaggio a settentrione della Basilica.
E' opportuno ora notare che il rapporto Uomo-Albero in Assisi non solo ha carattere estetico od utilitaristico: è un rapporto "affettivo", un rapporto tra viventi. Fino a qualche anno indietro il giovane padre usava piantare un albero nell' orto di casa alla nascita del figlio ed il contadino devoto asseriva, senza tema di smentite, che chi piantava un olivo liberava un anima dal Purgatorio.
Naturalmente le circostanze o la necessità suggerivano di volta in volta migliore scelta per gli alberi, da frutta o da ombra o da ornamento: mandorli, noci, olmi, tigli, gelsi o cipressi. Si, cipressi "alti e schietti", cipressi da non confondere con la tuja, essenza a portamento cespuglioso e tondeggiante, dai ricordi poco felici. E lecci e querce e cerri dalla lunga vita e dal legno forte come il ferro. E belle piante di alloro alle cui foglie si associano aromi profani.
Spesso gli assisani danno agli alberi un nome od una specificazione curiosa a dimostrazione di affetto: il cipresso di S. Giacomo, Ie Piantarelle di via Nova, i tigli di S. Chiara, le fanfaluche del Filatoro del Carino, la Mora di Santa Pace, il Cedro di Petruzzolo, le noci di Ciabatta, i Piantoni della Battaglia, il Viale di Favetta alla Rocchicciola e tanti, tanti altri lunghi da elencare.
Questo, naturalmente, limitandoci alla cerchia cittadina, ma basta uscire un poco o verso il piano o verso il Subasio ed incontriamo tanti alberi caratteristici della zona anche se il recente mutamento del modo di coltivare la terra ha cancellato dal paesaggio olmi e gelsi, aceri e pioppi.
Del paesaggio autoctono rimangono solo lembi di lecceto all'Eremo delle Carceri e presso Villa Carlini, e qualche breve tratto di pineta sui versanti del Subasio.
Naturalmente chiude l'elenco l'olivo, albero assai diffuso che caratterizza la zona collinare ammantata, ma non coperta, dal suo verde argentato di struggente bellezza.
E augurabile che al di la di tante parole l'interesse per gli alberi prosegua nel tempo cosi come ce l'hanno trasmesso i nostri vecchi. Le nuove generazioni di assisani, alle quali questa pubblicazione è dedicata, raccolgono l'invito ad amare e rispettare la natura con francescana semplicità.
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