Le visite dei pontefici
Uscito dalla clausura del Conclave, dopo aver eletto
papa Francesco, mi sono avviato lungo Borgo Pio e al
di là del Tevere in mezzo alla gente. È stato proprio là
che ho sentito quasi
il respiro di un popolo:
c’era chi, passandomi
accanto, mi diceva
semplicemente
“Grazie!”; c’era chi
fermava l’auto e dal
finestrino gridava:
«Siete stati bravi!»; c’è
stato persino uno, dichiaratosi non credente, che scherzando
mi diceva: «Sarei quasi tentato di credere allo Spirito
Santo!».
La scena si è ripetuta davanti al mio computer
ormai intasato da un filo ininterrotto di e-mail con la
stessa litania di adesioni entusiastiche, ben lontane dagli
stereotipi delle congratulazioni
rituali.
E tutto, contro le infinite
ricostruzioni e
ipotesi giornalistiche,
è avvenuto con un’inattesa
fluidità, facendo
balenare ben
presto quel volto che
ora tutti conoscono.
Il confronto è un po’
impietoso ma spontaneo:
mentre nelle vicine aule del Parlamento italiano
giovani deputati si devono sottoporre a estenuanti
dispute per ottenere un risultato positivo, un senato di
anziani cardinali ha subito intuito l’attesa del mondo e
l’ha resa realtà in una figura emblematica.
Aveva ragione ancora una volta Pasolini quando, nel
1968, scriveva: “Il mondo della storia tende nel suo eccesso di
presenza e di urgenza a sfuggire nel mistero e nell’astrattezza.
Il mondo del divino, nella sua religiosa astrattezza, al contrario,
discende tra gli uomini, si fa concreto e operante”.
Ormai i primi atti e parole di papa Francesco, senza
complessi discorsi programmatici, hanno tracciato un
percorso nitido per la Chiesa, icasticamente inciso nelle
menti di tutti con la trilogia della sua prima predica:
«Camminare – edificare – confessare».
Il nome assunto ne è quasi il condensato perfetto.
Francesco è il testimone assoluto di Cristo fino al punto
di averlo impresso nella sua stessa carne con le stimmate.
È il discepolo della Parola di
Dio, la Scrittura “senza glossa”
o adulterazione. È l’uomo
della semplicità, dell’essenzialità,
della povertà e
della scelta degli ultimi. È
il sostegno della Chiesa,
quando ne scopre le crepe,
ma è anche il viandante
del dialogo, pronto ad approdare
nel 1219 a Damietta
per incontrare
(senza sincretismi e
senza integralismi)
il sultano d’Egitto,
al-Malik al-Kamil.
È il cantore
della terra vista
come nostra
sorella e
di tutto il creato,
segno epifanico
del suo Creatore.
È l’artefice della
pace contro le fazioni
in lotta.
Certamente tante altre
sfide attendono il
Francesco di oggi, alcune
anche più modeste
ma non per
questo marginali: si pensi solo alla riforma della Curia
romana, attesa dagli stessi cardinali
oltre che da tutti i fedeli. Come
membro di questa istituzione, è
spontaneo anche per me esserne
consapevole e, quindi, impegnarmi
accanto a papa Francesco.
Come ha testimoniato papa Francesco
fin dai suoi inizi, per entrare
negli incroci e nelle piazze della
storia è necessario tenere alta la
purezza della Parola e della testimonianza,
abbattendo nella Chiesa
ogni scandalo, ogni arroganza, ogni
ipocrisia, sulla scia di quanto attestano
le labbra e le mani di Cristo.
Infatti, le sue sono parole semplici
ma incisive, non passano sopra le
teste delle persone in un vago ed
etereo spiritualismo, ma partono
dai loro piedi che camminano nella
storia, impolverandosi nei problemi
quotidiani, partecipando a vicende
festive e feriali, condividendo riso e
lacrime degli uomini e delle donne.
Le sue mani, poi, sanano i malati,
accarezzano gli emarginati, non temono
di sporcarsi con le lebbre di
ogni genere. La semplicità del suo
linguaggio e della sua azione attinge
all’essenzialità della verità e dell’amore
e questa semplicità è sinonimo
di grandezza.
È la grandezza dell’essenzialità che
la Chiesa deve saper ritrovare nel
suo comunicare, senza temere di
inoltrarsi sulle strade informatiche,
telematiche e digitali per annunciare
il suo messaggio. È quella grandezza
semplice che deve pervadere
la compassione amorosa, l’operare
ecclesiale nella storia, sapendo – col
realismo della ragione e l’ottimismo
della fede – che l’approdo ultimo
non è il baratro del nulla, ma è la
risurrezione.
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