Le visite dei pontefici
La stessa ricorrenza liturgica ha assunto quasi un risalto maggiore
In Italia il 26 dicembre è festivo dal 1947. Motivi d’ordine religioso? Neppure a pensarci, anche se tutti lo conoscono come giorno di S. Stefano. Destino singolare per il primo martire cristiano, la cui festa ha inciso sulla nostra lingua al punto da identificare un modo comune di dire. La stessa ricorrenza liturgica, che non è di precetto nella Chiesa cattolica, ha assunto quasi un risalto maggiore.
Stefano ha così riacquistato quell’importanza che aveva nel passato, quando il culto, espansosi a macchia d’olio dal IV secolo in poi, era già divenuto generale (come ricorda Fausto di Riez) nel giro di un secolo. Non si contano le chiese costruite in suo onore, tra le quali era celebre la grandiosa basilica voluta dall’imperatrice Eudocia in Gerusalemme e distrutta dai Persiani nel 614. Roma poteva vantare oltre trenta luoghi cultuali sotto tale titolo e uno dei più belli è ancora oggi S. Stefano Rotondo, che deve il nome alla caratteristica struttura cupoliforme. La figura del diacono morto per lapidazione ha esercitato inoltre un tale fascino da ispirare anche apocrifi come l’omonima (e perduta) Apocalisse in uso presso i Manichei.
Ricordato negli Atti degli Apostoli come il primo dei sette eletti per il «servizio delle mense», Stefano è divenuto il modello di un ministero che lo stesso libro neotestamentario estende anche all’ambito della predicazione evangelica. Ecco perché nel Medioevo quella del protomartire era la festa propria dei diaconi. Numerose liturgie non romane assegnavano loro, in questo giorno, la presidenza dell’ufficio corale nonché il canto solenne dell’epistola, del graduale e dell’alleluia durante la Messa.
Avrà pensato a lui Francesco nell’esercizio del diaconato? Al riguardo le fonti tacciono ma bisogna notare come di questo ministero Tommaso da Celano e s. Bonaventura facciano menzione proprio nel contesto di una celebrazione natalizia: il Poverello, che vestito «da levita» (cioè in dalmatica secondo la raffigurazione giottesca nella Basilica Superiore), proclama il Vangelo e predica al popolo a Greccio
D’altra parte l’accostamento diretto tra Stefano e Francesco sarebbe comparso, di lì a poco, in un autore come Ubertino da Casale (conosciuto al grande pubblico come il “maestro” di Guglielmo da Baskerville de Il nome della Rosa), che ne parlò nell’ottica dell’autentica conformità a Cristo. Interpretando in chiave allegorica un passo del libro di Daniele, il focoso minorita indicò nel figlio di Pietro di Bernardone «il quarto tra i principali leviti: Stefano, Lorenzo, Vincenzo e Francesco». Così il Poverello segna il culmine di quella schiera diaconale che, rappresentata dai martiri rispettivamente delle Chiese di Roma (Lorenzo) e Saragozza (Vincenzo), ha il suo punto iniziale in Stefano. Non è forse casuale che un’antica tradizione ricordi come a suonare ininterrottamente nelle ore, in cui Francesco agonizzò e morì, siano state proprio le campane di una chiesetta di Assisi dedicata al primo martire della cristianità.
di Francesco Lepore
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