Le visite dei pontefici
Gesù non sbaglia i rigori
Questa è la storia di un grande campione. Uno di quelli che sanno che lo sport parla un linguaggio universale, che essere un fuoriclasse è un dono e, insieme, una responsabilità. Uno di quelli che hanno imparato che anche quando tu pensi di giocare per te stesso, perché il gioco è la cosa che più ti rende felice, in realtà sei lì per quelli che ti guardano e che, in realtà, stanno guardando se stessi. Tu, campione, diventi un' enorme proiezione dei loro sogni. La tua grandezza, la tua grazia, diventano il loro specchio d' acqua, dentro al quale poter riflettere l'immagine del proprio volto, vedendola migliorata.
Non è un fatto d'età: puoi essere l'idolo di un bambino delle scuole elementari o di qualcuno che ha il doppio dei tuoi anni, ma tu rappresenti uno sguardo sul futuro, sei la sua speranza, prima o poi, di farcela. Tu diventi il testimonial di quella faccenda, che lo sport insegna così bene, che le sconfitte sono molte di più delle vittorie, ma che non c' è niente di più bello, dopo aver perso, di ricominciare con passione, forza di volontà e strategia, a rimetterti in piedi e preparare la vittoria successiva.
Il campione protagonista di questa storia si chiama Pedro Opeka. Argentino, nato a San Martín, nella provincia Grande di Buenos Aires, figlio di genitori sloveni fuggiti dalla ex-Jugoslavia, ci sa fare con il pallone, è un ottimo calciatore dilettante. Anzi, sta per diventare un professionista, ha il talento per farlo, ma arriva, dirompente nella sua vita, la vocazione. Gli sarebbe piaciuto diventare il primo prete-calciatore, ma non si può. Decide di lasciare lo sport agonistico per stare, in modo totalizzante, dalla parte dei poveri, dei diseredati, degli ultimi. Essendo un campione sceglie i poveri più poveri, i diseredati più diseredati, gli ultimi più ultimi.
Pedro Opeka diventa Padre Pedro, missionario lazzarista. Decide di partire per un' isola incastonata fra il canale di Mozambico e l'Oceano Indiano: il Madagascar, un paradiso della natura, un inferno per tanti esseri umani.
Da quel momento la sua missione diventa quella di giocare per gli ultimi, nel Paese penultimo al mondo nel campionato della ricchezza. Porta con sé tre cose: i libri e gli insegnamenti della «teologia della liberazione», la rivoluzione buona di dom Helder Camara e Leonardo Boff, un pallone da calcio e la maglietta albiceleste, quella della nazionale argentina.
Arriva nell'Ile Rouge il 26 ottobre 1970. Fa il muratore, lavora con gli emarginati nelle tante risaie del Paese. Nel 1989 si sposta nella capitale, Antananarivo. Ancora una volta va a cercare gli ultimi, nei due posti più disperati di una città disperatamente povera. Il primo è La Carriere: una gigantesca cava che mangia il cuore di granito di una montagna, un girone dantesco dove il lavoro collettivo di uomini, donne e bambini è quello di produrre, ogni giorno e a suon di martellate, la ghiaia che serve ai costruttori edili. Il secondo è la più grande discarica della capitale, si chiama Andralanitra.
È un luogo dal quale anche gli animali, a causa del fetore insopportabile, si tengono lontani, ma gli esseri umani, no. Padre Pedro vede centinaia di bambini che rovistano tra i rifiuti, come succede in tutti i Paesi del Terzo Mondo perché nella discarica si trovano cose da mangiare. «Erano belli come angeli, lì in mezzo ai rifiuti. Un' immagine che non mi lascerà mai la mente» dice Padre Pedro che, folgorato, incomincia a disegnare un immenso progetto di solidarietà tracciando le righe di un campo di calcio... (Corriere della Sera)
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