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Amata e martoriata terra siriana

Alessio Antonielli Unicef/Ansa
Pubblicato il 10-07-2021

Mario Zenari, cardinale Nunzio Apostolico in Siria, racconta gli undici anni di conflitto 

La Siria, terra devastata dalle guerre, teatro di scontri internazionali. La peggiore delle guerre, quella civile, si è abbattuta su questi luoghi che hanno dato origine alla civiltà mondiale. I primi a farne le spese sono stati i civili, i bambini, le etnie minoritarie, come quella cristiana. Gli ultimi dati ci dicono che 11 anni di emergenza umanitaria hanno generato 6,7 milioni di sfollati interni e 6,6 milioni di rifugiati, di cui il 45% minori di 18 anni. Il 35% delle abitazioni è distrutto. La metà degli ospedali è nelle stesse condizioni. Il 70% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema. I cristiani stanno rapidamente sparendo, ora sono da un terzo a un quinto in meno rispetto a 11 anni fa.

La persecuzione e il conseguente spopolamento delle terre del Medioriente da parte dei cristiani è un tema centrale che papa Francesco e la Chiesa stanno mettendo al centro della propria agenda, in particolare dopo il viaggio a marzo del Papa in Iraq, terra vicina alla Siria sia geograficamente che per il comune destino. 

Quest’anno Con il Cuore, la raccolta benefica che ogni anno dalla Basilica di Assisi cerca fondi per aiutare gli italiani ma anche le popolazioni più povere del pianeta, ha finanziato un progetto presentato dal cardinale Mario Zenari, Nunzio Apostolico in Siria, unico Nunzio ad esser stato creato cardinale da papa Francesco, un segnale importante che spiega, come dicevamo, l’attenzione per queste terre.

Cardinal Zenari, negli ultimi anni la Siria e i siriani si sono trovati al centro di una guerra civile con risvolti e influenze internazionali. Dopo dieci lunghissimi anni di guerra come sta oggi il paese?

Nel mese di marzo la Siria è entrata nel suo undicesimo anno di guerra. Iniziato con proteste pacifiche, il conflitto si è in seguito trasformato in un scontro armato internazionale, con la presenza ancor oggi sul suolo e nei suoi cieli siriani di forze armate di cinque potenti nazioni, in disaccordo tra di loro, come ricorda l’inviato speciale dell’ONU per la Siria, Geir Pedersen. È vero che da qualche tempo a questa parte non cadono più bombe su alcune regioni del Paese, e che nel nord-ovest (Idlib) vige da più di un anno il cessate il fuoco interrotto ogni tanto da qualche violazione. Occorre osservare che la popolazione siriana è ora flagellata da quella che si potrebbe definire come la “bomba” della povertà, che ha ridotto, secondo i dati delle Nazioni Unite, circa il 90% della popolazione a vivere sotto la soglia dell’indigenza, ed il 60% alle prese con la fame. Di fronte ai panifici che vendono a prezzi sovvenzionati dal governo, si vedono lunghe code di persone che attendono pazientemente il proprio turno. Altrettanto dicasi delle lunghe colonne di auto davanti ai distributori di benzina. E pensare che l’Alta Mesopotamia, che ho avuto modo di visitare alcuni anni fa, diventa nel mese di maggio uno stupendo tappeto d’oro di messi biondeggianti, che si estende per 500 chilometri dall’Eufrate al Tigri. E ai confini con l’Iraq si vedono pozzi petroliferi. A questa triste situazione hanno contribuito gli anni di guerra, come pure la crisi libanese, la pandemia del Covid-19 a livello mondiale, la crescente corruzione, casi di malgoverno e le sanzioni, in particolare alcune di esse. Inoltre, si è aggiunta anche una coltre di silenzio, come osservava Papa Francesco già nel gennaio 2019, in occasione dello scambio di auguri del nuovo anno con il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Di fronte a questa triste situazione, mi viene spontaneo pensare al malcapitato descritto nella parabola evangelica del Buon Samaritano (Lc. 10,25-37). La Siria, malmenata con ogni sorta di armi e derubata da vari ladroni, giace abbandonata e mezza morta sul ciglio della strada in attesa di Buoni Samaritani che si prendano cura di essa. E, come dice il poeta Giovanni Pascoli nella poesia “La quercia caduta”, ci sono coloro che ne approfittano: “Ognuno taglia. A sera ognuno col suo grave fascio va…”. Non mancano, però, qua e là, i “buoni samaritani” che prestano i primi urgenti soccorsi umanitari. Ho avuto modo di conoscerne diversi. A loro va la mia più viva riconoscenza. Oltre a questi primi soccorsi, la Siria ha bisogno, però, di essere rimessa in piedi, di vedere riconosciuta la propria dignità e di camminare con le proprie gambe, mediante la ricostruzione e la ripresa economica. A questo fine si richiedono, secondo gli esperti, diverse centinaia di miliardi di dollari americani, che purtroppo sono bloccati soprattutto a causa del punto morto in cui si trova il processo di pace.

Quanti cristiani ci sono in Siria? E come stanno?

È difficile conoscere il numero esatto dei cristiani rimasti in Siria. Con tutte le dovute cautele, si potrebbe dire che ne sono rimasti circa 500.000, da 1.500.000 che erano prima del conflitto. I numeri più affidabili sono quelli di Aleppo, dove si è passati da circa 150.000 a poco più di 30.000. Si può dire che a livello nazionale sono emigrati più della metà. Questa è una grave ferita inferta non solo alle Chiese Orientali sui iuris, ma anche alla stessa società siriana. I cristiani, presenti in Siria da duemila anni, hanno dato un contributo significativo allo sviluppo sociale e culturale del proprio Paese. Basti pensare al loro apporto nel campo dell’educazione con le numerose scuole, della salute con gli ospedali, e finanche nel campo politico. Con il loro spirito aperto e universalistico, essi potrebbero essere paragonati, per la stessa società siriana, ad una finestra aperta sul mondo. Finestra che tende a socchiudersi ad ogni singola partenza. Come altri gruppi minoritari, nel corso del conflitto, essi hanno costituito l’anello più debole della catena, quando si pensa, ad esempio alle angherie e minacce subite dall’Isis e dallo Stato Islamico. Benché godano di una discreta libertà religiosa, i giovani, a causa del futuro assai incerto, preferiscono emigrare.

Cosa sta facendo la Chiesa cattolica in queste zone?

Le varie Chiese in Siria sono attive nel campo umanitario, in diversi settori: aiuti alimentari, educazione, salute, alloggi, ricerca di posti di lavoro, adozioni a distanza ecc. Possono fare tutto questo grazie al generoso aiuto delle Chiese sparse in tutto il mondo, di Istituzioni e di alcuni governi. A Roma c’è un ufficio particolare, detto “focal point”, che registra tutti gli aiuti destinati a vari progetti in Siria e in altri Paesi del Medio-Oriente, provenienti dalla Chiesa Cattolica sparsa nel mondo. Si tratta, annualmente, di alcune decine di milioni di dollari americani. Caritas-Siria, che fa parte della confederazione delle varie Caritas nazionali, svolge un ruolo particolare di coordinamento dei vari aiuti provenienti da istituzioni ecclesiastiche, private e governative. Altrettanto fanno le altre Chiese cristiane.

Quale progetto è stato finanziato dalla generosità degli italiani? 

Tra i tanti progetti che abbiamo gestiti da Caritas-Siria, dai Vescovi locali, dalle varie Congregazioni Religiose attive in Siria, da Istituzioni e ONG cattoliche, ce n’è uno chiamato “Ospedali Aperti”, cui teniamo particolarmente, che concerne 3 Ospedali Cattolici, 2 a Damasco e 1 ad Aleppo, gestiti da 3 Congregazioni Religiose femminili. Questa iniziativa, incoraggiata da Papa Francesco, è sotto il patrocinio del Dicastero Pontificio per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale. Essa consiste nel sostenere le spese di ricovero ospedaliero per i malati poveri, senza assistenza mutualistica, al di là di qualsiasi appartenenza etnico-religiosa. Le due condizioni sono: essere ammalati e poveri. In circa 3 anni di attività sono state assistite più di 40.000 persone malate povere. Il progetto sta dando buone soddisfazioni, perché, oltre a curare il fisico, si cerca allo stesso tempo di ricucire il tessuto e le relazioni sociali danneggiate dal lungo conflitto. Le famiglie musulmane, che hanno avuto un familiare assistito, sono infatti particolarmente riconoscenti verso i cristiani.

Lei è l'unico Nunzio Apostolico ad esser stato creato Cardinale da papa Francesco, pensa che questo derivi dall'attenzione che il Pontefice ha per la Siria?

Questa nomina mi ha colto di sorpresa. Basti pensare che sono venuto a conoscere la notizia mezz’ora dopo che Papa Francesco l’aveva annunciata in Piazza San Pietro. Mi trovavo in quel momento in Italia, per qualche giorno di riposo, a pranzo con alcuni amici, in una località non coperta dalla rete telefonica. La porpora, com’è noto, è simbolo del sangue che un cardinale deve essere pronto a versare, se necessario, per la fede e per la Chiesa. Nel mio caso, ho pensato subito, che Papa Francesco volesse ricordare il tanto sangue innocente versato in Siria, la sofferenza della popolazione, ed in particolare quella di tanti bambini che hanno perso la vita o sono rimasti feriti durante il conflitto. Per questo, ogni volta che la indosso, provo una certa commozione, ricordando la ripetuta frase di papa Francesco “L’amata e martoriata Siria”. Un cardinale, salutandomi, qualche tempo fa nella Basilica di S. Pietro, mentre indossavo l’abito corale purpureo, mi disse: “Lei ha tutte le ragioni di vestire la porpora!”. Tra le insegne cardinalizie, c’è anche la fascia color porpora, che indosso più frequentemente. Alle volte mi piace chiedere alla gente: “Quanto è lunga? Quanto è larga?”. Le prime a rispondere sono in genere le signore: “Circa 90 cm. lunga, circa 120 cm. larga”, mi rispondono. “Un grave errore!” rispondo immediatamente. “È lunga x km. È larga x km.! Quanto è lunga e quanto è larga la Siria! Non un centimetro in meno!”. La fratellanza e l’amicizia sociale di papa Francesco copre tutta quanta l’amata e martoriata Siria, senza escludere un solo cm quadrato! 

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