Le visite dei pontefici
Due episodi che fanno riflettere e che al di la della lettura buonistica, che comunque aiuta a comprendere il bene che c'è dall'altra parte, non possiamo non evidenziare chi sta sta vivendo con disperazione questi giorni chiusi in casa per diversi motivi e l'altro atti di puro egoismo che portano all'intolleranza. Rimangono vive le parole di Martin Luther King: abbiamo imparato molte cose ma il cammino verso la fraternità e il rispetto dell'uomo per l'altro è ancora lungo e faticoso. (padre Enzo Fortunato)
LIBERO
Erano entrambi in coda davanti all'ingresso dell'Opera San Francesco per i Poveri, insieme a loro centinaia di altri senzatetto in attesa di ricevere il proprio sacchettino di generi alimentari. Poi dev' essere successo qualcosa - forse uno scambio reciproco di insulti - perché uno dei due è finito a terra con una profonda ferita che partiva dal viso per scendere fin sul collo, mentre l'altro faceva perdere le sue tracce nelle strade vicine. Sono questi i momenti centrali dell'ultimo episodio di violenza verificatosi ieri mattina, alle 10.40 circa, a Milano.
Una violenta lite in strada, all'angolo tra via Antonio Kramer e corso Concordia, proprio davanti agli edifici che ospitano il refettorio dell'Opera San Francesco per i poveri che, ogni giorno, tra pranzo e cena supera i 1.800 pasti preparati e consegnati a persone in stato di bisogno.
A farne le spese è stato un 41enne etiope, un clochard molto conosciuto nella zona e descritto da chi frequenta la struttura caritativa come «un uomo tranquillo». Il suo aggressore, pare un ragazzo nordafricano, dopo avergli sferrato un fendente al collo - non è ancora chiaro se l'arma utilizzata sia stato un coltello, oppure un coccio di bottiglia - si è dato alla fuga in direzione Porta Venezia.
Il 41enne etiope è stato trasportato all'ospedale Niguarda in codice rosso, ma non in pericolo di vita. Sull'aggressione sono in corso le indagini dei carabinieri della compagnia di Porta Monforte, ma rintracciare il fuggitivo potrebbe essere più difficile del previsto dal momento che la descrizione fornita dai testimoni che hanno assistito alla scena, tra cui anche un operatore della struttura, sono parziali e solo le telecamere della zona potrebbero aiutare nel riconoscimento. L.GOT.
LA STAMPA
Maria e Mohamed litigano in continuazione: mentre una fa i compiti, l' altro vorrebbe giocare ma l' appartamento ha solo due stanze e in quattro lo spazio scarseggia. «Servirebbe una casa più grande ma siamo già fortunati ad avere questa».
Fatima - nome di fantasia, come quello dei suoi figli - è una giovane donna sola di 35 anni. È originaria del Marocco ma dal 2012 vive a Milano, in un alloggio popolare al Giambellino, uno dei quartieri più poveri della città. Qui una famiglia su quattro delle quasi 17 mila presenti abita in una casa popolare e ha un reddito annuo inferiore ai 9 mila euro lordi. «Già tre settimane fa il virus ha ridotto alla fame migliaia di persone. Oggi consegniamo pasti a 600 famiglie ma non basta», racconta don Gino Rigoldi, punto di riferimento di via Lorenteggio.
hi si lamenta di stare chiuso in un appartamento con doppi servizi e magari un terrazzino, non ha idea di cosa sia una quarantena per quelli come Fatima, 40 metri quadrati da condividere con i figli: Maria, di 15 anni, Mohamed di 10 e Nadja, di 4. Mohamed soffre di una disabilità psichica che in questa situazione lo porta ad avere più crisi del solito. «Non ha abbastanza giochi e si stufa a usare sempre gli stessi. In più, non abbiamo wi-fi e così anche i dati del telefono finiscono velocemente».
Anche perché lo smartphone serve alla sorella maggiore per studiare: «Maria deve seguire 5-6 ore di lezione al giorno, ma non avendo un pc può usare solo il cellulare. Arriva a sera con gli occhi che le fanno male». Il "Laboratorio del Giambellino", insieme a "QuBì" della Fondazione Cariplo, ha calcolato che in tutto il quartiere servirebbero un migliaio tra tablet e computer per far studiare i ragazzi under 14. Alcuni aiuti arriveranno grazie al fondo di comunità lanciato proprio dal "Laboratorio".
A undici chilometri da qui, ci sono le "Case Bianche" di via Salomone. Nel 2017 questi palazzoni grigi che somigliano a alveari hanno accolto Papa Francesco, strappando all' ente delle case popolari la promessa di fare dei lavori per renderli più decenti per le oltre 400 famiglie: dei 447 appartamenti, molti sono vuoti da anni. «Qualche giorno fa abbiamo ricevuto una lettera del Pontefice che si diceva contento che i lavori fossero partiti. Peccato che si siano dovuti subito interrompere per la pandemia», commenta don Augusto, della parrocchia di San Galdino. In via Salomone i palazzi svettano, hanno 8-10 piani. Ma non c' è neanche un balcone. «Questo ci pesa molto, per i bambini sarebbe importante. Ci accontentiamo di portarli a fare due passi dopo mezzanotte, quando in cortile non c' è nessuno», racconta Amalia Criscuolo, 31 anni.
Lei e il marito Raffaele, con i due figli - Salvatore di 5 anni e Sabiana di 9 - e il cane Walker hanno vissuto i primi giorni di quarantena come sempre: sveglia alle 7, colazione, poi lezione. «Solo che la giornata non passava mai, i bambini non si stancavano mai, la luce del sole li teneva attivi. Era diventato impossibile. Così abbiamo deciso di cambiare gli orari: ora vanno a letto alle 3-4 di notte, si svegliano alle 13, fanno colazione, all' ora della merenda pranzano».
Il salotto è stato riadattato: sul tavolo c' è una distesa di fotocopie: italiano, inglese, matematica. Centinaia di fogli stampati e compilati. «Sono di Sabiana: ogni giorno trascorre dalle 5 alle 6 ore a fare i compiti che riceviamo via chat. Poi vanno stampati, eseguiti, scannerizzati e caricati sul sito della scuola», chiarisce Amalia. «Ma certi momenti», confessa, «sono durissimi. (Chiara Baldi)
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