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Speciale missionari: non uccidere in nome di Dio

Roberto Pacilio
Pubblicato il 30-11--0001

Dal 2000 ad oggi sono 401 gli operatori pastorali, tra religiosi e laici, uccisi per motivi di fede nel mondo

Da settimane stavo lavorando ad uno speciale sugli operatori pastorali uccisi dal 2000 ad oggi. L’articolo era praticamente chiuso, completo in tutti i suoi punti, quando ricevo un messaggio da un giornalista dell’agenzia Fides: “Caro Roberto, purtroppo mi hanno smentito subito sulla mancanza di missionari uccisi nel 2016. Proprio oggi sono state ammazzate quattro suore in Yemen”. Il pensiero è andato subito alle donne uccise, alla comunità ferita e privata delle loro suore delle loro “mamme”.

La comunità in Yemen era stata più volte minacciata, ma le suore di Madre Teresa avevano deciso di restare e di non farsi difendere da nessun soldato, fedeli alle parole della fondatrice: “Vivere, e morire, con i poveri”.



Mentre starete leggendo questo articolo forse saranno stati ammazzati altri missionari per motivi religiosi, ma a noi piace pensare che 400 vittime dal 2000 ad oggi possono bastare.

Il 4 marzo i terroristi sono entrati con facilità nel convento e armi in pugno hanno gridato “vogliamo ammazzare i cristiani”. Le hanno uccise tutte mentre servivano i poveri della comunità insieme ad altri undici collaboratori, l’unica sopravvissuta alla strage è suor Sally, la superiora.



Un vero e proprio martirio condito da spari, grida e silenzi, troppi silenzi. Un massacro in odio dei cristiani, in odio alla fede. «Questi sono i martiri di oggi! – ha detto papa Francesco durante l’Angelus – non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi, e anche dell’indifferenza».

Sempre il Papa, nell'ultimo viaggio in America Latina, ha parlato al cuore del popolo messicano esortandolo a ripudiare i trafficanti di droga, di migranti e soprattutto di vite umane. Il Messico è uno dei paesi con il più alto tasso di criminalità e con il più alto numero di religiosi uccisi negli ultimi tre anni, ben 11.



Sono sempre di più, infatti, gli operatori pastorali che vengono ammazzati o subiscono torture nel mondo. La questione religiosa sembra essere solo un pretesto per mettere a nudo la barbarie, l'ignoranza e la chiusura mentale delle popolazioni. Solo chi non ha un'apertura mentale e una visione libera e democratica della civiltà può immaginare e pensare, anche solo per un attimo, che sia giusto uccidere e torturare in nome di Dio. Lo stesso Papa ha più volte esortato a «non offendere o fare la guerra, uccidere in nome della propria religione, in nome di Dio».



Dal 2000 ad oggi sono 401 gli operatori pastorali, tra religiosi e laici, uccisi per motivi di fede nel mondo. Ma perché missionari e volontari che arrivano dalla "fine del mondo" e che aiutano la gente del luogo in cui si trovano subiscono questa sorte? Forse sono persone scomode? Forse come dice Luca nel Vangelo "Sarete odiati da tutti a causa del mio nome" (Lc 21,17-18)? O forse sono solo persone che danno la possibilità agli uomini e alle donne che incontrano di aprire la mente, pensare e sognare stili di vita migliori? «La parola di Dio dà fastidio ai cuori duri. Il sacrificio del martiri – dice papa Francesco – rafforzi l'impegno per la libertà religiosa». Un impegno che va coltivato e alimentato ogni giorno insieme, proprio per questo il prossimo 18 settembre, a 35 anni dallo storico incontro indetto da Giovanni Paolo II, si ritroveranno ad Assisi i leader religiosi di tutto il mondo per invocare il dono della pace e della fratellanza.



Essere missionario, oggi come ieri, richiede tanto coraggio e forza, ma soprattutto fede e fiducia nel prossimo e nel Signore. Essere un prete di frontiera è una vocazione nella vocazione. Proprio per questo abbiamo parlato con il direttore dell’Agenzia Fides e missionario del Pime, padre Vito del Prete, che ci ha raccontato la sua esperienza. (Articolo della Rivista San Francesco di Aprile)

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