Le visite dei pontefici
Il dovere umano di tendere, lungo la strada di ricerca individuale, a un amore perfetto.
Tra le più autentiche testimonianze sul francescanesimo primitivo e, chiaramente, su Francesco, gli studiosi annoverano la Compilatio Assisiensis. Questa importante fonte biografica sul santo assisiate esalta un Francesco “umanamente” uomo, in dura lotta con se stesso e, specialmente negli ultimi anni, con il suo stato di salute. Ma l’umanità di Francesco, cioè il suo rispettare la condizione umana come presupposto imprescindibile per la santità, intorno a cui ruota l’amore per il Creato, è al centro di ogni tradizione o documentazione storica che lo riguarda.
La vita di Francesco è quella di un uomo a tutto tondo, che rinvia a un’esigenza liberatoria personale ma anche a una visione generica della condizione umana. Dunque, la ricerca interiore del santo assisiate come chiave di lettura dell’essere uomo per gli uomini, anche a duro prezzo, anche a costo di affrontare il dolore inflitto e imprevedibile.
Nell’antichità e per i greci, in particolare, l’umano dolore è stato una fonte d’insegnamento, e per Eschilo qualcosa di più: la strada ineludibile da percorrere per giungere alla conoscenza. Sempre dal lontano passato sappiamo che la capacità di interpretare il dolore era considerata una qualità esclusiva dell’arte medica, tanto che si considerava degno di curare da una data malattia solo colui che ne aveva sofferto e che, dunque, ne aveva avuto un’esperienza diretta. Di questo resta traccia persino nella tradizione popolare del Mezzogiorno d’Italia, dove sopravvive il detto è meglio ilpatutoche ilsaputo, che si potrebbe tradurre liberamente come «sa più chi ha sofferto che chi ha studiato».
Nella comunicazione contemporanea, al dolore si attribuisce generalmente una valenza negativa in quanto inteso come sintomo, segno di sofferenza fisica e messaggio di patologie più o meno gravi. Un’accezione avversa quindi a quella originale greca, dove sumptoma voleva dire evento fortuito, accidentale cui non veniva attribuito un valore positivo o negativo, in quanto un evento di questo genere può essere un lutto o una disgrazia, ma anche un’opportunità.
La lezione che proviene dall’umanità di Francesco è molto semplice e può essere sintetizzata come la consapevolezza di aver colto proprio un’opportunità: se è vero che la vita non avrebbe senso senza la morte, è altrettanto vero che l’esistenza di un limite al tempo della vita le conferisce un valore infinito, irripetibile, irrinunciabile per sperimentare atti d’amore affrancandosi da quella “libertà” di fare il male concessa da Dio, diventato uomo, all’uomo.
Ma la libertà dell’innocente, che viene sacrificato come un docile agnello, dov’è? Perché Dio custodisce gelosamente solo la libertà dei malvagi e non quella dei buoni? La risposta a questa domanda – in cui si avverte tutta la tenerezza francescana dell’esistenza – è nel dovere umano di tendere, lungo la strada di ricerca individuale, a un amore perfetto.
Marco Iuffrida
Storico
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