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L'Arsenale che fabbrica la pace

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

DIO, POVERI, GIUSTIZIA E SVILUPPO: I 50 ANNI DEL SERMIG

Puoi tornare quante volte vuoi qui al Sermig di Torino, in Borgo Dora, cuore popolare e multietnico della città, venire a pregare, a portare il superfluo, a incontrare gente che regala la propria vita al prossimo. Ma ogni volta che entri in questo Arsenale della pace, nato dai sogni di Ernesto Olivero diventati carità e giustizia, sbatti la faccia contro quel muro sbrecciato di mattoni rossi che ti ricorda che "la bontà è disarmante". Puoi fare finta di niente, dire che l'hai già visto mille volte, girarti dall'altra parte, sentire il profumo dei glicini che hanno cancellato per sempre l'odore della polvere da sparo, incrociare gli occhi di un bimbo eritreo che viene qui al doposcuola, fermarti davanti alle montagne di vestiti dismessi destinati a Paesi poveri e zone di guerra. Ma alla fine quel muro è sempre lì, e inchioda lo sguardo e la coscienza a quei mattoni: "La bontà è disarmante". Ernesto Olivero ci viene incontro di prima mattina: «Lo vuoi un caffè? Perché questa è casa». Siamo venuti a trovarlo per i cinquant'anni del Sermig: è iniziato tutto il 24 maggio 1964, e la prossima domenica, 25 maggio 2014, sarà festa al Teatro Regio di Torino con parole e musica per guardare al futuro. Cinquant'anni fa l'Arsenale non c'era ancora, ma è iniziato tutto dallo stupore e dai sogni di Dio.

«Perché Dio sogna, sai, come noi», dice Ernesto, «e quando ha un sogno a chi lo da? A uno di cui si fida. Io stavo per sposarmi, avevo 20 anni, ero un ragazzo, e con Maria avevamo deciso di fare entrare i poveri nel nostro stipendio, di ridurre il tenore di vita per adottare un po' di emarginazione. E qual era la cosa più ingiusta? Se ci pensi bene, è che si muore di fame. Allora dissi a Maria, mia moglie: "Io voglio formare un gruppo che abbia come desiderio di abbattere la fame nel mondo"». Ed è partito da lì questo sogno. Erano ragazzi, giovani, e si sono dati un nome, ma non uno edatante, uno semplice: Servizio missionario giovani. E oggi quei "ragazzi", guidati sempre da Ernesto, hanno una casa con tre porte: una a Torino, una in Brasile e una in Giordania. È sempre aperta, da un letto a circa 2 mila persone e quasi 4 mila pasti al giorno. Accoglie chi scappa per motivi religiosi 0 politici, chi esce da giri immondi, e tutte le donne che accettano l'invito a non abortire: i volontari di Ernesto diventano madri e padri per i loro figli. E nel tempo il Sermig è diventato anche una Fraternità, cioè preghiera, contemplazione, ci sono fratelli e sorelle che vivono all'Arsenale con una "regola", e qui hanno consacrato la loro vita.

Ma non è stato sempre facile. Proprio agli inizi Emesto Olivero organizzò un concerto per raccogliere fondi da destinare a bambini in difficoltà: «Vendemmo i biglietti porta a porta, al Palazzo dello Sport di Torino arrivarono oltre diecimila persone. Un successo enorme, che suscitò le perplessità della Curia di allora. Con una lettera davvero amara, che conservo ancora, cercarono di fermarci. Eravamo in pieno '68, avremmo potuto "protestare". Ma dissi ai miei compagni di strada: prendiamoci un mese di silenzio. Dio ci sta parlando». Ed è allora che Ernesto fa l'incontro della vita: l'allora arcivescovo di Torino, il cardinale Michele Pellegrino. «Dico agli amici: "Andiamo a portargli le nostre ragioni". Lui ci riceve, alto, severo: "Cosa volete?". "Eminenza, vorremmo formare un gruppo missionario per la Chiesa".

E lui: "Ma perché un nuovo gruppo, ce n'è già uno che funziona bene e ne sono felice". E noi: "Qual è questo gruppo, padre?". "È il Sermig, unitevi al Sermig". Allora tiro fuori la lettera della Curia: "Ma quel bel gruppo siamo noi". Due giorni dopo ci chiama: "Sai cos'è questo, Ernesto? Un contratto, vi do la Chiesa dell'arcivescovado per dieci anni"». Ne sono passati 50 e il Sermig è una realtà globale che vive la solidarietà verso i più poveri, con una speciale attenzione ai giovani, cercando insieme con loro le vie della pace. È un monastero metropolitano aperto giorno e notte. È un luogo di assistenza medica e spirituale in un quartiere, anzi in un mondo, dove emarginazione e intolleranza non sono solo parole. E ora Ernesto prepara una grande festa, il 4 ottobre, a Napoli, il giorno di san Francesco, dove tra migliaia di giovani lancerà una "Lettera alla coscienza". Già, la coscienza.

Esci dall'ufficio di Olivero e te lo ritrovi lì davanti, il muro sbrecciato di mattoni rossi: "La bontà è disarmante". Ernesto sorride: «La prossima volta, però, prendi un caffè, perché questa è casa».(Famiglia Cristiana)

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