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Il nuovo Io dentro questo noi

Marco Franzoso, Il Fatto Quotidiano
Pubblicato il 08-04-2020

Lo scrittore Marco Franzoso con il suo nuovo romanzo, "Le parole lo sanno"

Poco più di un anno fa ho iniziato a scrivere il mio nuovo romanzo, Le parole lo sanno. Volevo raccontare una storia in cui due persone, entrambe colte in un momento di difficoltà, decidevano che era giunto il momento di fermarsi, fermare il tempo e fare i conti con sé e con la propria vita grazie a un incontro su una panchina in un parco.

Mi piaceva l'idea di scrivere una storia in cui non esistessero intermediari tecnologici. Nessun sms, nessun social, addirittura nessun telefono. Ma semplicemente due persone reali, in un tempo reale, in un luogo reale. Sembrava una cosa scontata, due persone decidono di fermarsi e di andare in un parco. Eppure. Eppure oggi quella situazione non è più scontata, e in questo momento anche l'idea di recarsi in un parco ci sembra un miraggio.

Oggi, un anno dopo quei giorni, mi trovo come tutti noi a condividere una situazione globale di cui non vediamo ancora l'esito, ma in cui tutte le relazioni tra le persone si sono trasformate, filtrate come sono da uno strumento tecnologico. Io stesso da qualche tempo vivo a distanza la relazione con la mia compagna, lei abita a trenta chilometri da casa mia, e ci è preclusa ogni possibilità di un incontro reale, di persona.

E da uomo non nego di vivere con molta difficoltà questa assenza. È sempre un tuffo al cuore salutarsi la sera e, dopo l'ultimo "Ciao, a domani", premere la x in alto a destra, e improvvisamente vedere scomparire la sua immagine. Come se appunto la sua fosse stata un'immagine, e non una persona.

Ma oggi si naviga a vista e, come in tempi di bonaccia, non conosciamo ancora il momento dell'approdo. Non sappiamo quando avverrà, e intanto ci difendiamo nuotando tra telefonate Skype-call, videoconferenze, streaming. E in un attimo tutti noi, indistintamente, ci siamo trovati come mai prima nella storia dell'umanità, a condividere ogni istante della nostra giornata sincronicamente in compagnia di persone che per lo più non conosciamo.

Siamo finiti tutti dentro il flusso di un presente continuo in cui ciascuno di noi manifesta uno struggente bisogno di esserci. Siamo immersi nella collettività e partecipiamo di questa collettività in ogni secondo. Quasi non esistono più le persone, ma esiste un corpo unico e plurale che si muove perfettamente in tempo reale, che si agita per la stessa brutta notizia, che spera per uno spiraglio di luce, che si indigna per l'ultima fake news.

Siamo diventati un tutt' uno, navighiamo spalla a spalla nel mare virtuale come componenti della stessa ciurma, in balia dello stesso mare, sospinti dallo stesso vento. Vediamo all'unisono le stesse immagini, ascoltiamo contemporaneamente gli stessi discorsi. Pensiamo e proviamo le stesse emozioni, affrontiamo come possiamo gli stessi fantasmi, tanto che spesso condividiamo anche il momento in cui spegniamo tutto e usciamo dal flusso, per entrare nella notte, in cui molti di noi condividono anche l'insonnia.

Chi di noi, infatti, dorme bene di notte, in questo periodo? Ci troviamo a convivere con una massa di persone di cui conosciamo le foto, il nome, i post. Una massa indistinta, in cui non esistono più classi sociali, simboli di status, elementi distintivi sociali o economici. Perché il virus non fa differenza, di fronte a lui siamo tutti uguali. Ho scritto un romanzo di due persone in carne e ossa e mi trovo a vivere come tutti noi dentro un flusso immateriale.

Ma allora, cos' è diventata la presenza? Cosa l'autenticità? E soprattutto cos' è questo bisogno costante di sentirsi protetti, spalla contro spalla, dentro una condivisione totale, senza pelle, scarnificata, che alle volte sa tirare fuori anche le parti più profonde e sincere del nostro essere? Che ci sa fare esprimere come nella vita reale non saremmo stati in grado e ci fa capire quanto importante sia in realtà ciò che ci manca. Ma che cos' è diventata la presenza in questo esserci a distanza?

Forse la presenza è proprio questo aggrapparsi. Una forma di nostalgia per quanto ci manca di un tempo tanto vicino che ora appare lontano. Quante storie autentiche ci sono in tutto questo calderone, in quest'unica voce collettiva che ci parla e di cui noi siamo parte? Ognuno di noi sta vivendo e scrivendo la sua storia personale. Alla fine so per certo che quando tutto sarà finito, di grande mare collettivo di storie sul quale galleggiamo, sapremo quale è quell'unica che poi, nella vita reale avrà senso vivere e seguire per noi.

Spero che questo sarà l'insegnamento del momento tanto difficile che tutti stiamo affrontando. Imparare a scegliere dentro questo noi, l'unico io che ci appartiene davvero, e di valorizzarlo grazie alle uniche persone con le quali abbiamo voglia di vivere. A scegliere la nostra vita, unica e irripetibile. La nostra unica presenza, lì, in quel posto preciso, in quel tempo specifico, con la persona che amiamo.

E sarà importante farci sorprendere impreparati. Sì, impreparati, perché quando questo miracolosamente succederà, porremo meno difese davanti a noi e, forse, saremo anche più liberi di vivere le nostre emozioni senza sovrastrutture, paure, o preconcetti. Con il pizzico di leggerezza che meritano.

Marco Franzoso, Il Fatto Quotidiano

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