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La cella e la stanza

Padre Enzo Fortunato huffingtonpost.it
Pubblicato il 08-04-2020

La riflessione di padre Enzo Fortunato per l'Huffpost

Stare in casa, nella propria stanza, oggi in tempo di Coronavirus assume un significato molto profondo e può essere paragonato alla “cella” francescana: stanza piccola e nuda ma che diventa intima come una cantina, dove si conserva ciò che presto o tardi servirà nella vita, e imponente come un campanile, che guarda in alto e richiama l’Altro.

Cosa c’è di più fermo, chiuso, perimetrato e apparentemente limitante di una cella? Eccoci però davanti due strade: in profondità la cantina, in altezza il campanile. Le nostre stanze, le nostre celle potrebbero essere trasfigurate e contenere un intero mondo.

In questa stanza, in questa cella San Francesco si è posto due interrogativi :“chi sono io?...chi sei Tu?” richiama alla possibilità, per ognuno di noi, di andare in cantina (chi sono io) e di salire sul campanile (chi sei Tu). L’una e l’altra strada potrebbero aiutarci in questo momento così difficile a comprendere come il nostro io potrebbe maturare una nuova coscienza del noi. E salendo in alto, indicando in essa la dimensione spirituale, del senso e del significato essere generativi per affrontare i momenti bui o tristi che l’umanità, che noi ci troviamo a vivere.

È come se stare in uno spazio limitato scrive Massimo Sebastiani, aguzzasse la vista e non solo quella. L’arte, la filosofia e la letteratura hanno fotografato l’importanza generativa della “stanza”, della cella. L’arte con Van Gogh e la celebre stanza ad Arles, Martin Heidegger con un intero saggio e Franz Kafka con il suo libro America pensato per il Nuovo Mondo senza esserci mai stato e senza muoversi da casa. Una cosa è certa, quando usciremo da questa stanza non so se saremo migliori o peggiori ma sicuramente differenti ma non indifferenti. La Pasqua che vivremo per tutti non sarà quella sacramentale ma potrebbe essere quella esistenziale.


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