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Da un altro mondo, il nuovo romanzo di Evelina Santangelo tra separazione e migrazione

Andrea Cova
Pubblicato il 08-11-2018

“Da un altro mondo” è un romanzo strano, ambientato in un futuro molto prossimo: il 2020. Un libro concepito tre anni fa, quando ancora non si sapeva quale strada avrebbe preso l’attualità, un volume che “profetizza” ciò che stiamo vivendo in questo momento storico. L’accanimento contro il modello Riace per l’accoglienza (per troppa umanità), i domiciliari del sindaco Mimmo Lucano sono due temi anticipati dall’incontro delle vite di due dei protagonisti, per i quali il dibattito su legge e diritti umani detta le scelte dell’agire. 



Lo leggi credendo che sia del tutto frutto della fantasia dell’autrice, Evelina Santangelo, poi scopri che c’è del reale, che offre delle solide fondamenta alla narrazione. Voltando l’ultima pagina della storia, si offre al lettore una accurata sezione di note, capaci di spiegare come la vita reale abbia alimentato il fuoco della finzione.



Mentre la penna di Evelina scorre sul foglio, diverse vite si intrecciano, ma tutte con degli aspetti comuni: il dolore, la separazione, l’amore e la migrazione.



Ma cosa c’è di differente da altri romanzi d’attualità? Un cammino di fatica e dolore che la scrittrice condivide (e che ha scelto di vivere in prima persona) con i protagonisti delle vicende che compongono la trama del romanzo, alcuni dei quali hanno compiuto scelte radicali: Karolina, Khaled, Orso, il Maresciallo Vitale e i tantissimi “bambini fantasma” che appaiono nel corso del racconto.



Karolina è una donna sola che vive a Bruxelles, separata. Andreas è suo figlio e di lui non si hanno più notizie: potrebbe essere stato reclutato come foreign fighter della causa jihadista o essere entrato definitivamente nell’ambiente dell’estrema destra neonazista belga. Per tentare di scoprire che fine abbia fatto il figlio, Karolina spulcia nel suo PC e si immerge in un mondo di sangue e violenza. La discesa agli inferi della protagonista si specchia della crudele esperienza di ricerca vissuta da Evelina Santangelo, e tradotto nelle note, che rende reale la finzione. Karolina conoscerà prima Khaled, poi l’amico Omar. Di nessuno dei due riuscirà, però, a sapere il nome.



Khaled compie un percorso a ritroso, da Bruxelles deve arrivare in Sicilia. Ad accompagnarlo nel viaggio sarà un trolley rosso da cui non si separerà mai, custodisce un segreto che dovrà proteggere ad ogni costo, per mantenere la promessa fatta alla madre. Le vicende di questo ragazzino arabo e i diversi personaggi che incontrerà nel corso della sua “missione”, permetteranno al lettore di conoscere realtà che, sempre più frequentemente, facciamo finta di non vedere: il dolore della migrazione e la separazione dalla famiglia, il lavoro nero, lo sfruttamento.


Dei bambini fantasma non sappiamo molto, se non che vanno ad aggiungersi alle classi scolastiche durante l’ora di lezione, mettendo in subbuglio la tranquillità dell’aula spaventando genitori e insegnanti, allarmando le Forze dell’Ordine. Compaiono al cospetto dei protagonisti, fissandoli senza dire nulla. Non fanno del male, ma fanno paura perché sono indecifrabili.


La realtà delle vicende passa, quindi, attraverso il raccontare di fantasmi. Fantasmi dal gusto shakesperiano: si manifestano e, come lo spettro di Amleto, nell’opera omonima di Shakespeare, turbano, atterriscono e allo stesso tempo spingono a pensieri e ragionamenti. Assumono una forma riconoscibile, “invadendo” lo spazio e la prospettiva dei protagonisti. Nel testo teatrale dell’autore inglese, Amleto crede di rivolgersi allo spirito del padre, ma in realtà si rivolgerà a se stesso, trovando le risposte perché sarà egli stesso a darle. Così, i personaggi del romanzo di Evelina Santangelo ricevono risposte dalla presenza dei “bambini fantasma”, perché si interrogano e iniziano una crescita, un mutamento di quella prospettiva che, come detto, gli spettri riempiono. Proprio come nella la vita dell’anziano vedovo Orso che vive col cane Lupo, divisa tra una casa isolata e il bar del paese nella pianura padana dove i rigurgiti fascisti sono concreti, per cui un gruppo di skhinead dà alle fiamme un campo rom.


Dalle pagine del romanzo emerge una serie di campionature umane accomunate dalla solitudine, dall’amore, dal conflitto e, soprattutto, dalla paura. Ognuno di loro è un individuo precario, figlio di quella paura alimentata dal sistema, che tende ad escludere chi non si adegua al modello proposto e, quindi, diventa nemico.

Viene da chiedersi perché.


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