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Armenia, ecco l'ospedale di San Giovanni Paolo II

Chiara Genisio Famiglia Cristiana
Pubblicato il 27-10-2019

Sembra sbucare dal nulla, l’ospedale Redemptoris Mater di Ashotck,  a duemila metri di altezza sull’altopiano armeno. Una strada dissestata taglia in due il paesaggio, sembra di andare incontro all’infinito. Ma poi ecco lo sventolio delle bandiere e un basso moderno prefabbricato, con accanto i pannelli solari. "Questo ospedale lo ha fortemente voluto papa Giovanni Paolo II", spiega subito il direttore padre Mario Cuccarollo, al gruppo di giornalisti della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) giunti in Armenia per scoprire i progetti realizzati in questo Paese anche con il sostegno  dei fondi dell’8 per mille.

Padre Mario, infaticabile camilliano, vicentino di origine, nonostante viva in questo  angolo dell’Armenia  dal 1992 ancora parla l’italiano con l’accento del Nord, e non ha mai imparato l’armeno e neppure il russo.  Ricorda ancora con precisione quando ha accettato di svolgere la sua missione in questo ospedale, anche se subito precisa: "non mi sento missionario, vivo nel più antico Paese cristiano", e poi racconta come è finito a vivere in Armenia. "Ero a Milano quando ho ricevuto una telefonata dal mio superiore mi ha proposto di venire a seguire questo ospedale  e mi ha detto che aveva poco tempo per spiegarmi tutto perché la telefonata dall’Austria, dove si trovava,  era molto cara.  Mi dava dieci minuti per decidere e poi mi avrebbe richiamato. Ma io a quel punto ho detto subito si. E da allora, non me ne sono più andato". La sua casa è la stessa baracca del primo giorno, qui che d’inverno la temperatura può scendere anche fino a  40  gradi sotto lo zero. Era uno di quei container utilizzati dagli operai che seguivano la costruzione dell’ospedale, un’opera realizzata dalla Caritas e poi donata al Governo dell’epoca che era ancora sotto il dominio dell’Unione Sovietica. Con l’indipendenza del Paese, la Caritas non riusciva più a reggere il peso di questo ospedale e chiese aiuto a papa Giovanni Paolo II che a sua volta chiese aiuto ai Camilliani. E così si è arrivati a padre Mario. Gli brillano gli occhi quando illustra la struttura, un edificio di 5000 metri quadrati dove lavorano 140 dipendenti.  E’ il punto di riferimento di circa 13mila persone, ma a curarsi  arrivano anche dalla Capitale. Ogni reparto è lindo ed accogliente. Un ospedale molto importante per questa zona: rappresenta l’unica attività che offre lavoro in tutto l’altipiano e fornisce un servizio immediato e qualificato di assistenza sanitaria.

Una struttura che ha un bilancio di circa 600mila euro all’anno,  a pareggio anche grazie all’aiuto di molti italiani, la generosità ha mille forme e arriva sempre nelle mani di padre Cuccarollo. E poi c’è il sostegno della  Cei, che ha donato a questo progetto, nel 2015, 600mila euro per tre anni e nel 2018 ha stanziato 300mila per altri tre anni.

"Ogni volta che mi sono trovato in difficoltà economica è arrivato un aiuto, un nuovo aiuto", afferma sereno padre Mario e di fondi ne ha bisogno considerato che tanti servizi dell’ospedale vengono offerti gratuitamente, come le cure per i bambini e  per le future mamme.  Pure il pronto soccorso è gratis, e l’assistenza nei villaggi dove è aperto un piccolo presidio medico. Una grande cosa in questa zona, dove  il lavoro  nei pascoli permette appena la sussistenza.

Il sostegno della Chiesa italiana arriva anche in altri centri dell’Armenia.  Un Paese che ha più cittadini sparsi per il mondo che in Patria. Gli armeni oggi sono  un popolo di anziani, i giovani espatriano in cerca di un futuro migliore. All’aeroporto il momento del distacco è duro per molti, si vedono i volti rigati dalle lacrime di chi parte e di chi resta. Qui anche un piccolo aiuto rappresenta una grande ricchezza. Una opportunità per cambiare in meglio, la certezza di non essere abbondonati. Il sostegno della Chiesa italiana in Armenia  che può sembrare una goccia, è invece felicità e futuro per tante persone. Come per gli  anziani e i bambini che vivono ad Artashat, città al confine con la Turchia,  dove la Chiesa cattolica armena con la Caritas ha attivato due progetti: l’assistenza domiciliare per anziani soli e il centro “Piccolo Principe” per  bambini accolti con famiglie spezzate. Qui possono studiare, imparare a cucire, disegnare, giocare.

A Gyurmi, invece, la Caritas ha avviato un Centro diurno per anziani e il  progetto "Caldo inverno" (pagano le bollette per il riscaldamento a chi non può permetterselo). La Caritas armena riceve per  questi progetti dalla Chiesa italiana circa  260mila euro dell’8xmille.

"In Italia  si conosce poco di ciò che viene realizzato qui con il contributo dalla Chiesa italiana", evidenzia  Matteo Calabresi, direttore del Servizio per la promozione del Sostegno economico alla Chiesa cattolica che insieme don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio degli interventi caritativi a favore dei Paesi del terzo mondo della Cei ha partecipato alla trasferta armena,  "eppure viaggiando in questi luoghi, ci rendiamo conto che è una presenza costante e importantissima che cambia e migliora la vita di tante persone". FAMIGLIA CRISTIANA 


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