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Ambiente, Alberobello: muretti con legno degli ulivi colpiti da Xylella

Redazione
Pubblicato il 08-11-2019

L'opera creata da Antonio Marras e Francesco Maggiore

Volete ammorbidire gli scettici sull'importanza del riciclo? Poneteli davanti all’opera che Antonio Marras ha creato con Francesco Maggiore. Queste due vulcaniche menti creative hanno ripristinato i muretti a secco di Alberobello impiegando dei blocchi di legno ricavati dagli alberi d’ulivo abbattuti poiché infettati da Xylella. L’installazione dal titolo “L’amico ritrovato” fa parte di Land Art 50, un programma di eventi artistici e culturali – pensati per i siti UNESCO di Puglia e Basilicata – ideato da UnconventionArt, con Fondazione Dioguardi e Fondazione Casa Rossa. Curatore del calendario, insieme a Fabio De Chirico, è proprio Francesco Maggiore, che ci racconta qualcosa in più di questo straordinario progetto.



Il muretto a secco è uno dei simboli più romantici della campagna pugliese.

«Sì, ed è anche una delle costruzioni più straordinarie messe in atto dall’uomo per la sua efficace e disarmante semplicità. Oltre alla pietra, anche il legno occupa un posto di primo piano nella storia della costruzione. In questa insolita operazione, le due materie si incastonano, si uniscono, si abbracciano reciprocamente a testimonianza anche del dramma che stanno vivendo gli uliveti pugliesi».


Com’è nata l’idea?

«L’idea è maturata dopo una serie di dialoghi intrattenuti con Antonio Marras attorno al dramma della Xylella. Ci siamo interrogati sulla necessità di trovare una possibile strada per il recupero dei tronchi, e alla fine siamo arrivati alla conclusione che i blocchi in legno avrebbero al meglio svolto una funzione strutturale, risanando i numerosi muretti a secco, sventrati e diroccati, presenti nelle nostre campagne».



Siamo praticamente davanti a un’opera a chilometro zero.

«Sì perché il legno è stato recuperato in loco, così come avvenuto in origine con la pietra nell’atto dell’innalzamento dei muretti. I contadini che li hanno costruiti, infatti, durante il dissodamento dei campi, assemblavano le pietre recuperate fino a creare questi suggestivi confini. Il legno d’ulivo, pur non avendo una durata centenaria come quella della ha una resistenza elevata, è abbastanza duro e resistente».



Antonio Marras ha sempre avuto una marcia in più rispetto al riciclo.

«Non è singolare che questa idea nasca proprio con Antonio Marras, artista e stilista da sempre attento al recupero di storie, memorie e oggetti del passato.

Le sue creazioni, infatti, si contraddistinguono per la stratificazione, la sovrapposizione, la contaminazione di materiali e di elementi diversi. Proprio come accaduto con questa installazione. In parallelo c’è anche la mia formazione di ingegnere-architetto che si è incrociata all’arte di Marras dando vita a questa inedita opera, che mi piace definire sottesa fra alta ingegneria e alta moda».



Un’opera alta che sicuramente ispirerà molto…

«I riscontri sono tutti estremamente positivi, e questo non può che farci piacere. Il compito dell’arte, in fondo, è quello di stimolare e generare riflessioni. Questa

installazione è stata realizzata con la consapevolezza che altri interventi – magari in strutture più complesse – saranno possibili».



Ci sarà un seguito?

«Sta nascendo già qualcosa, lo ammetto. “Da cosa nasce cosa”, sosteneva Bruno Munari».



E una cosa può ri-generarne un’altra.

«Esatto, e noi saremo ben disposti a ri-generare, per amor del Pianeta e dell’arte».


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