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A padre Jacques Mourad il Premio Archivio Disarmo per la pace

Redazione
Pubblicato il 22-10-2019

L'intervista di Vatican News al monaco sequestrato dall'Isis nel 2015

La Colomba internazionale di Pericle Fazzini, simbolo di pace e impegno per la costruzione di un mondo senza le armi, va quest’anno a padre Jacques Mourad. Siriano, originario di Aleppo, padre Mourad è oggi il priore di Mar Elian, monastero affiliato a quello di Deir Mar Musa, fondato da padre Paolo Dall’Oglio. E’ proprio al gesuita italiano rapito 6 anni fa in Siria, a tutti i sacerdoti missionari e ai martiri cristiani che egli dedica questo riconoscimento di Archivio Disarmo, giunto alla 35esima edizione. Come il suo confratello scomparso, padre Mourad, ha subito per cinque mesi il dramma del rapimento avvenuto il 21 maggio 2015 per mano dell’Isis, che racconta in modo commovente nel libro-testimonianza dal titolo: “Un Monaco in ostaggio. La lotta per la pace di un prigioniero dei jihadisti”. Ma nemmeno le violenze e le torture hanno fermato la sua sete di pace, l’impegno instancabile per il dialogo tra cristiani e musulmani, la ricerca di strade di non-violenza, di perdono e di incontro dell’altro che padre Jacques Mourad ha scelto oggi di predicare e testimoniare in tutto il mondo.

R. - Questo premio è un regalo non solo per me, ma per la mia comunità, soprattutto però è per padre Paolo Dall’Oglio- non sappiamo più nulla del suo rapimento, non ci sono novità – ma lui è sempre nel cuore. Questo è il frutto della sua consacrazione, del suo sacrificio per l’amore di Cristo, per l’islam, per i musulmani. Quindi noi seguiamo la strada che lui ha iniziato. Questo premio è quindi in onore al suo lavoro, a quello che lui ha dato con la sua vita.

Immagino che oltre a padre Dall’Oglio ci siano nel suo cuore anche tanti sacerdoti come lui, rapiti, scomparsi, i tanti cristiani martiri della Siria e non solo.
R. - Certo. Esattamente. Sono tanti e spesso dimenticati. E questo premio vuol essere un segno della comunione della Chiesa con tutti i cristiani della Siria, soprattutto quelli di Qaryatayn che sono stati rapiti insieme a me. Quasi tutti siamo salvi grazie alla misericordia di Dio ma molti non ce l'hanno fatta.

Com’è possibile in una situazione così mutevole, violenta che caratterizza il contesto siriano potare avanti l’istanza del dialogo tra cristiani e musulmani?
R. - La guerra e i momenti di sofferenza non impediscono questa cammino di vita insieme, di convivenza e di dialogo, anzi lo rafforzano. Quindi per noi, anche in momento terribile che la Siria sta passando, non cambia nulla, perché la radice di questa vita insieme è l’amore di Cristo, la mentalità aperta e la bontà del cuore del popolo siriano. Siamo chiamati ad accoglierci.

La tregua concordata tra Turchia e Stati Uniti per uno stop di cinque giorni delle operazioni militari di Ankara nel nord-est del Paese, in cambio di un ritiro dei curdi, subisce continue violazioni, la situazione umanitaria è già al collasso, oltre al piano internazionale come sempre succede in questi casi bisogna cercare di tamponare aiutando concretamente la popolazione in fuga, ferita. Molti sono i cristiani che stanno scappando…
R. - Ovviamente di fronte a questo caos si cerca di fare il possibile, di salvare i feriti, di aiutare i profughi, l’intervento umanitario è il primo e l’unico possibile ma la situazione è peggiorata per colpa del silenzio internazionale e del silenzio complice della politica. L’unica realtà è che questo popolo – cristiani e non - è condannato a morte sotto il bombardamento. Quindi l’unico modo di salvare questa zona è fermare veramente ogni atto di violenza, di guerra, altrimenti il resto dei cristiani che sono lì continueranno a scappare da questa zona alla ricerca di un posto più sicuro. Ma tutto questo, tutto ciò che è successo oggi, che vogliamo fare è un passo per evitare che finisca la presenza dei cristiani in questo Paese. Loro stanno continuando il progetto di far scomparire i cristiani. Ma io mi domando: 'fino a quando e perché i cristiani devono pagare i loro 2 mila anni di vita e storia in questa terra?'. Qui in questa zona del mondo ci sono i primi cristiani. Perché devono andarsene? Il mondo deve sentirsi responsabile di quello che sta accadendo.

Cecilia Seppia - Vatican News
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