Le visite dei pontefici
All'interno del monastero benedettino dei Santi Quattro Coronati
a Roma, proprio al di sopra della cappella di San Silvestro, entriamo
in un'aula interamente affrescata da un anonimo pittore intorno
alla metà del Duecento. Entro logge dipinte, dal vago sapore
classicheggiante, sfi lano sulle pareti le personifi cazioni allegoriche
delle virtù, armate di tutto punto, con elmo e cotta.
Ciascuna porta
– come trofeo sulle spalle – il personaggio che più la rappresenta,
mentre schiaccia a terra, sotto i suoi piedi, chi non ha voluto accoglierne
il dono. Non ci aspetteremmo forse di trovare Francesco...
e invece! Eccolo lì! Una legenda in lettere gotiche ne accompagna
la fi gura: Amor celestis. Amor celeste, amore di Dio. Tutta la vita di
Francesco può essere riassunta in questo amore, un amore che è
una risposta a Colui che per primo ci ha amati e che ci rende capaci
a nostra volta di amare.
Nella sua vita Francesco si lascia sempre
guidare da questo Amore. “Dobbiamo amare molto l'amore di Colui
che ci ha amati molto”. Sono le parole che Francesco chissà quante
volte ha pronunciato! Le Ammonizioni, rivolte ai suoi frati, sono
una sintesi di una esperienza vissuta quotidianamente nell'amore
di Dio e che ci rende capaci di amare persino chi ci fa soffrire (Ammonizione
IX), di amare chi non è amato, chi non si sente amato
e per questo motivo più di chiunque altro chiede il nostro amore.
La pace è possibile solo rimanendo in questo Amore (Ammonizione
XV). Nel Memoriale Tommaso da Celano ricorda come proprio
questa espressione “amore di Dio” riempisse il cuore di Francesco di
una commozione profonda. L'amore di Dio è la vera ricchezza, la
sola ricchezza per Francesco. È un Amore umile che si rivela nella
incarnazione del Figlio.
Sappiamo con quanta attesa e partecipazione
Francesco vivesse il Natale del Signore. “Meditava continuamente
le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma
soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse
così profondamente nella sua memoria, che diffi cilmente gli riusciva
di pensare ad altro”. Per Francesco è motivo di gioia anche solo poter
pronunciare il nome di Gesù.
“Quando voleva nominare Cristo Gesù
infervorato di amore celeste lo chiamava “il Bambino di Betlemme”, e
quel nome “Betlemme” lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e
ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E
ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la
lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle
parole”. Tommaso da Celano, nel ricordo di quel Natale vissuto a
Greccio, ci conquista proprio con questa immagine di Francesco.
Attraverso il suo racconto siamo introdotti non solo nella rievocazione
così minuta e partecipe di quel primo presepe, ma anche nel
segreto del cuore di Francesco che si apre con commozione alla
grandezza di quell'Amore che per noi si fa dono.
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