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Francesco e l'Amor celestis

Milvia Bollati
Pubblicato il 30-11--0001



All'interno del monastero benedettino dei Santi Quattro Coronati a Roma, proprio al di sopra della cappella di San Silvestro, entriamo in un'aula interamente affrescata da un anonimo pittore intorno alla metà del Duecento. Entro logge dipinte, dal vago sapore classicheggiante, sfi lano sulle pareti le personifi cazioni allegoriche delle virtù, armate di tutto punto, con elmo e cotta.
Ciascuna porta – come trofeo sulle spalle – il personaggio che più la rappresenta, mentre schiaccia a terra, sotto i suoi piedi, chi non ha voluto accoglierne il dono. Non ci aspetteremmo forse di trovare Francesco... e invece! Eccolo lì! Una legenda in lettere gotiche ne accompagna la fi gura: Amor celestis. Amor celeste, amore di Dio. Tutta la vita di Francesco può essere riassunta in questo amore, un amore che è una risposta a Colui che per primo ci ha amati e che ci rende capaci a nostra volta di amare.
Nella sua vita Francesco si lascia sempre guidare da questo Amore. “Dobbiamo amare molto l'amore di Colui che ci ha amati molto”. Sono le parole che Francesco chissà quante volte ha pronunciato! Le Ammonizioni, rivolte ai suoi frati, sono una sintesi di una esperienza vissuta quotidianamente nell'amore di Dio e che ci rende capaci di amare persino chi ci fa soffrire (Ammonizione IX), di amare chi non è amato, chi non si sente amato e per questo motivo più di chiunque altro chiede il nostro amore.
La pace è possibile solo rimanendo in questo Amore (Ammonizione XV). Nel Memoriale Tommaso da Celano ricorda come proprio questa espressione “amore di Dio” riempisse il cuore di Francesco di una commozione profonda. L'amore di Dio è la vera ricchezza, la sola ricchezza per Francesco. È un Amore umile che si rivela nella incarnazione del Figlio.
Sappiamo con quanta attesa e partecipazione Francesco vivesse il Natale del Signore. “Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che diffi cilmente gli riusciva di pensare ad altro”. Per Francesco è motivo di gioia anche solo poter pronunciare il nome di Gesù.
“Quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava “il Bambino di Betlemme”, e quel nome “Betlemme” lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole”. Tommaso da Celano, nel ricordo di quel Natale vissuto a Greccio, ci conquista proprio con questa immagine di Francesco. Attraverso il suo racconto siamo introdotti non solo nella rievocazione così minuta e partecipe di quel primo presepe, ma anche nel segreto del cuore di Francesco che si apre con commozione alla grandezza di quell'Amore che per noi si fa dono.

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