SIATE UOMINI BUONI

di Silvia Ceccarelli

Gli studiosi di filologia, i filologi, sono soliti interrogare i libri del passato con la curiositas di chi è consapevole di avere tra le mani un prezioso scrigno di materiale antico – racchiuso molto spesso tra due copertine finemente lavorate – dal quale attingere per ricostruire la forma originaria di un testo e attraverso il quale spiegare sentimenti e stati d’animo sulla scorta di vicende che hanno avuto come protagonisti uomini di grande pregio e valore. Se prendiamo il II libro dell’Eneide del poeta latino Virgilio, si dispiega ai nostri occhi l’immagine del protagonista Enea che messosi in fuga dalla città di Troia in fiamme, carica sulle proprie spalle il padre Anchise, dimostrando con quanta tenerezza egli si prenda cura del padre anziano. Questo sentimento di tenerezza che anticipa, sia pure con qualche lieve sfumatura di significato, quello di pietà. Vorremmo ricordare le parole di Enea, che ancor oggi fanno vibrare le corde del cuore: “Coraggio, dunque, caro padre, attaccati al mio collo; io ti reggerò sulle spalle; questa fatica non sarà pesante per me. Dovunque ci conduca il destino, unico e comune a entrambi sarà il pericolo, unica la salvezza”, e cercare insieme di capire la centralità del valore di pietà che acquisterà nei secoli successivi, in particolare con San Francesco d’Assisi, una pluralità di significati. Intesa dapprima come commossa partecipazione al dolore altrui, la pietà esprimerà in seguito una presa di responsabilità dinnanzi ad un obbligo morale, a un dovere civile o religioso. Per Francesco la pietà è un sentimento d’amore e di attenzione verso il prossimo, è quel senso di giustizia e di clemenza umana che sollecita l’animo dell’uomo alla comprensione e all’accettazione dell’altro. È la capacità di sentire la sofferenza degli altri, e volerne quindi mettere fine. Oggigiorno la pietà non sembra trovare un terreno molto fertile, giacché, spesse volte, ha come unica espressione atteggiamenti di commiserazione nei confronti di chi vive in condizioni disperate. Se s’incominciasse a pensare che la vera felicità va condivisa, e che nessun piacere personale può prescindere dal piacere di chi c’è accanto, verrebbero forse a costituirsi i presupposti su cui poter costruire una Casa di vita comune a tutti. Nessuno escluso. Chissà se il destino dei libri sia proprio questo: tracciare un cammino esistenziale lungo il quale uomini di tutte le razze e specie avanzino fianco a fianco, in un contesto solidale e di fraterna alleanza. Così come ci ha insegnato Enea. Così come, secoli dopo, ci ha insegnato San Francesco, il quale con la sua umanità e il suo ingenito senso di compassione ha toccato il cuore di uomini e donne d’ogni luogo e tempo.