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Il «soldato buono» di S.Anna di Stazzema

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Un superstite del massacro incontrerà il nipote della SS che con uno stratagemma lo salvò nel 1944



Di quell'angelo con la divisa da SS, Enio Mancini, 71 anni, superstite della strage di Sant'Anna del 12 agosto 1944 (560 vittime civili tra cui molti bambini), aveva parlato al Corriere della Sera nel marzo del 2003. «Ha salvato la mia vita e quella della mia famiglia. Vorrei tanto incontrarlo di nuovo, magari sapere chi è. È stato un eroe». Mancini, già direttore del Museo storico della resistenza, non incontrerà mai il suo salvatore, ma tra una settimana, 66 anni dopo l'eccidio, potrà riabbracciare il nipote di quel soldato che rischiò la vita per non macchiarsi di crimini orrendi.

Si chiama Jochen Kirwel, ha 27 anni ed è uno studente di teologia. È stato lui stesso a telefonare e poi ha inviato una lettera a Mancini. «L'uomo che l'ha salvata era mio nonno materno», ha raccontato Kirwel. «Si chiamava Peter Bonzelet ed è morto nell'ottobre del 1990. Ho saputo di questa storia incredibile solo sei mesi fa e ho fatto alcune ricerche. Poi, quando ho letto il suo racconto, ho capito tutto». La notizia, anticipata dal quotidiano Il Tirreno, ha provocato grande commozione a Sant'Anna di Stazzema e pure a Magonza, la città natale del soldato buono e di suo nipote. Jochen ed Enio si incontreranno il 26 marzo a Roma, nella sede del Goethe Institute.

Il 12 agosto del 1944, il giorno dell'eccidio, Enio Macini era un bambino di sette anni e abitava con la famiglia, padre minatore, madre casalinga, nonna paterna e un fratello più grande. Furono tutti catturati dai tedeschi e il soldato Peter Bonzelet ebbe l'ordine di ucciderli e poi bruciarli con il lanciafiamme insieme agli altri abitanti del paese. «Quel soldato aspettò che gli ufficiali se ne andassero», racconta Mancini. «Io e mio fratello piangevamo terrorizzati. Ci guardò e con l'indice della mano destra sul naso ci disse di stare zitti. Poi ci indicò una via di fuga. Iniziammo a correre increduli, poi dietro di noi sentimmo una raffica di mitra. Strinsi la mano a mia madre, credevo di essere già morto. Mi voltai e vidi quel tedesco sparare in aria, ingannava i suoi commilitoni, faceva finta di ucciderci. Mi sembrò che sorridesse».
(fonte Corriere)

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