Le visite dei pontefici
Proponiamo in questo speciale le indicazioni dell'allora Cardial
Joseph Ratzinger sulla preghiera multireligiosa e interreligiosa.
1. Tale preghiera multireligiosa non può essere la norma
della vita religiosa, ma deve restare solo come un segno
in situazioni straordinarie, in cui, per così dire, si leva un
comune, grido d'angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori
degli uomini e al tempo stesso scuotere il cuore di Dio.
2. Un tale avvenimento porta quasi necessariamente a
interpretazioni sbagliate, all'indifferenza rispetto al contenuto
da credere o da non credere e in tal modo al dissolvimento
della fede reale. Perciò avvenimenti del genere
– quali quelli di cui al punto 1 – devono restare eccezioni,
e dunque è della massima importanza chiarire accuratamente
in che cosa consistano. Questo chiarimento, in cui
deve risultare nettamente che non esistono “le
religioni” in generale, che non esiste una
comune idea di Dio e una comune fede
in Lui, che la differenza non tocca unicamente
l'ambito delle immagini e delle
forme concettuali mutevoli, ma le stesse
scelte ultime – questo chiarimento è
importante, non solo per i partecipanti
all'avvenimento, ma per tutti quelli che ne
sono testimoni o comunque ne sono informati.
L'avvenimento deve presentarsi in se stesso e davanti al
mondo in modo talmente chiaro da non diventare dimostrazione
di relativismo, perché si priverebbe da solo del
suo senso. Mentre nel caso della preghiera multireligiosa si
prega nello stesso contesto, ma separatamente, la preghiera
interreligiosa signifi ca un pregare insieme di persone o
gruppi di diversa appartenenza religiosa. È possibile fare
questo in tutta verità e onestà? Ne dubito. Comunque devono
essere garantite tre condizioni elementari, senza le
quali tale pregare diverrebbe la negazione della fede:
1) Si può pregare insieme solo se sussiste unanimità su chi
o che cosa sia Dio e perciò se c'è unanimità di principio
su che cosa sia il pregare: un processo dialogico in cui io
parlo a un Dio che è in grado di udire ed esaudire. In altre
parole: la preghiera comune presuppone che il destinatario,
e dunque anche l'atto interiore rivolto a Lui, vengano
concepiti, in linea di principio, allo stesso modo. Come
nel caso di Abramo e Melchisedek, di Giobbe e di Giona,
dev'essere chiaro che si parla col Dio unico che sta al di
sopra degli dei, col Creatore del cielo e della terra, col mio
Creatore. Dev'essere chiaro dunque che Dio è “persona”,
vale a dire che può conoscere e amare; che può ascoltarmi
e rispondermi; che Egli è buono ed è il criterio del bene, e che il male non fa parte di Lui. A partire da Melchisedek,
possiamo dire, dev'essere chiaro che Egli è il Dio della pace
e della giustizia. Qualsiasi commistione tra la concezione
personale e quella impersonale di Dio, tra Dio e gli dei,
dev'essere esclusa. Il primo comandamento vale anche
nell'eventuale preghiera interreligiosa.
2) Sulla base del concetto di Dio, deve sussistere pure una
concezione fondamentalmente identica su ciò che è degno di preghiera e può diventare contenuto di preghiera. Io
considero le richieste del Padre nostro il criterio di ciò che ci
è consentito implorare da Dio, per pregare in modo degno
di Lui. In esse si vede chi e come è Dio e chi siamo noi. Esse
purifi cano la nostra volontà e fanno vedere con che tipo
di volontà stiamo camminando verso Dio, e che genere di
desideri ci allontana da Lui, ci metterebbe contro di Lui.
Richieste che fossero in direzione opposta alle richieste del
Padre nostro, per un cristiano non possono essere oggetto di
preghiera interreligiosa, di nessun tipo di preghiera.
3) L'avvenimento deve svolgersi nel suo complesso in modo
tale che la falsa interpretazione relativistica di fede e preghiera non vi trovi alcun appiglio. Questo criterio
non riguarda solo chi è cristiano, che non
dovrebbe essere indotto
in errore, ma, alla
stessa stregua,
anche chi non
è cristiano,
il quale non
deve avere
l'impressione
dell'interscambiabilità delle “religioni” e che la professione
fondamentale della fede cristiana sia di importanza
secondaria e sia dunque surrogabile. Per evitare tale errore
bisogna pure che la fede dei cristiani nell'unicità di Dio e
in quella di Gesù Cristo, il Redentore di tutti gli uomini,
non sia offuscata davanti a chi non è cristiano. Il documento
di Bose sopra citato, al riguardo, dice, a ragione,
che la partecipazione alla preghiera interreligiosa non può
mettere in discussione il nostro impegno per l'annuncio di
Cristo a tutti gli uomini. Se chi non è cristiano potesse o
dovesse trarre, dalla partecipazione di un cristiano, una relativizzazione
della fede in Gesù Cristo, l'unico Redentore
di tutti, allora tale partecipazione non dovrebbe aver luogo.
Infatti essa, in questo caso, indicherebbe la direzione
errata, orienterebbe all'indietro invece che in avanti nella
storia delle vie di Dio.
Tratto dal volume: Joseph Ratzinger “Fede Verità Tolleranza, Il Cristianesimo
e le Religioni del mondo”, Ed. Cantagalli, 2003
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