Le visite dei pontefici
In Brasile Papa Francesco incontrerà una marea di giovani: ragazzi e ragazze che hanno fatto anche migliaia e migliaia di kilometri per incontrarlo, desiderosi – attraverso l’incontri con lui – di fare esperienza di Cristo. È bello vedere tanti giovani ed è un segno di speranza. Molti, oggi, parlano dei giovani, ma non sono molti – lo rilevava già Paolo VI – quelli che parlano ai giovani. Papa Francesco, viceversa, non parla di loro, non si sofferma in analisi socio-psico-pedagogiche (che pur hanno il loro valore), ma parla ai giovani, e parla loro di Cristo.
Quando era nella loro condizione, Francesco com’era? Come trascorreva le sue giornate, quali erano i suoi interessi. Intanto, è bene premettere che egli aveva ricevuto da Dio un carattere allegro e gioviale. Esercitava la professione dei suoi genitori, ma con stile del tutto diverso; perfino nella prigione in cui fu rinchiuso dopo la battaglia di Collestrada, egli, “allegro e gioviale per natura, non sembrava rattristato, ma in certo qual modo allegro” (3Comp 4: FF 1398), tanto da suscitare la riprovazione di uno dei compagni.
Era prodigo per natura, al punto di dissipare in pranzi e feste tutto il denaro a sua disposizione (si comportava, insomma, da figlio di papà con facile accesso alla carta di credito). Ovvio che questa generosità poco avveduta gli attirasse il favore dei compagni: gli amici erano intorno a lui ed egli era tutto per gli amici: “amava tanto la loro compagnia che molte volte si levava da tavola appena preso un boccone, lasciando i genitori contristati per la sua partenza inconsulta” (3Comp 9: FF 1404) (quante volte scene simili si ripetono nelle nostre case, dando spesso adito a discussioni infinite?).
Ricco e brillante, generoso e spendaccione, manifestava una visione “cortese” della vita. Baciato dalla fortuna, gli piaceva richiamare l’attenzione su di sé e non gli mancavano né la fantasia né i mezzi per farlo: si vestiva in modo vistoso ed eccentrico, arrivando a far cucire insieme, nello stesso indumento, stoffe preziosissime e panni molto grossolani (cf. 3Comp 2: FF 1396) (come si vede, certe mode attuali non sono poi così originali!).
Dunque, un giovane ricco di doti naturali, cortese e, sotto tanti aspetti, anche delicato. Attento alla propria immagine, proteso verso gli amici, poco riguardoso nei confronti dei genitori, che pure gli permettevano di spendere largamente; generoso e gioviale, certo, ma anche desideroso di stupire e far parlare di sé; buono, ma essenzialmente centrato su se stesso.
Anche la sua famiglia non fu esemplare.
Francesco, si sa, fu osteggiato fortemente dai suoi: soprattutto i maschi della famiglia, a quanto ne sappiamo, non riuscirono a comprenderlo (o non vollero). Non appena cominciò a mostrare i primi segni di cambiamento interiore, il suo comportamento finì per portare alla luce controverse dinamiche familiari da tempo latenti: quando il padre era assente, Francesco – benché si trovasse da solo a tavola con la madre – poneva sulla mensa molto più pane di quanto era necessario, così da poterne poi fare elemosina ai poveri; “la madre, che lo amava con più tenerezza che gli altri figli, gli lasciava fare queste cose” (3Comp 2: FF 1396), anche se osservava con interesse e stupore.
Indubbiamente, aveva un legame particolare con quel figlio fuori del comune. È logico supporre che, da tempo, gli altri membri della famiglia si fossero accorti di questo speciale rapporto: fino a quel momento il padre era stato al gioco, spendendo moltissimo per quel figlio sul quale aveva riposto sogni di gloria. Ma Pietro di Bernardone era uomo concreto e certe bizzarrie – tali dovevano sembrargli – gli erano difficili da comprendere.
Gli altri figli avranno assistito senza reagire a tanto scoperte preferenze della madre? Dopo che Francesco ebbe lasciato la casa paterna per mettersi al servizio di Cristo, un giorno d’inverno uno dei fratelli l’incontrò per strada malvestito e tremante per il freddo. In tono di scherno, disse a un altro concittadino: “Di’ a Francesco che ti venda almeno un soldo del suo sudore!” (3Comp 23: FF 1424). Non possiamo affermare che tale durezza sia scaturita dall’antica gelosia nei confronti del figlio preferito, ma neppure possiamo escluderlo.
Qual era la sua condotta morale? Nel Testamento, dettato poco prima della morte, Francesco giudicò peccaminosa la propria condotta giovanile. “Ero nei peccati”, dirà con grande onestà e senza falsi pudori. Cosa intendeva con quelle parole? Comprenderlo non è facile. Tommaso da Celano individua nella vanità che lo dominava la radice dei suoi peccati: era vanitoso – dice il biografo –, desideroso di primeggiare in ogni cosa.
Educato dai genitori secondo le vanità del secolo, crebbe ancor più vano e insolente di loro, superando in ciò i suoi coetanei, sempre proteso a primeggiare su tutti. Se leggiamo i testi con attenzione, ci accorgiamo però che il giovane pieno di sé tratteggiato da Tommaso non pare troppo dissimile da quello desideroso di stupire e di essere ammirato che presenta invece la Leggenda dei tre compagni.
I suoi peccati, in definitiva, quali furono? Certamente, la sua colpa più grande fu quella di vivere senza Dio, di agire senza curarsi di Lui, di pensare a Lui quel tanto e non più, senza sentirsi coinvolto in un rapporto personale e libero, intenso e appassionato. Come buona parte dei giovani d’oggi non era stato un ladro, non aveva compiuto soperchierie. Ma se il credere in Dio non ci esime dalla lotta con il peccato che tante volte ci vince e ci umilia, il vivere senza Dio spinge, inevitabilmente, a compiere atti che finiscono per porci in contrasto con Lui.
Solo che, prescindendone, si finisce, quasi senza accorgersene, per perdere il senso del peccato e ritenere giusto e lecito tutto ciò che piace.
Se Francesco non elencò colpe precise, ciò non vuol dire che, nella sua giovinezza, egli si fosse sempre mantenuto candido di fronte a Dio; sforzarsi ora di precisare – in modo quasi morboso – l’entità delle sue colpe sarebbe tuttavia impresa destinata al fallimento, oltre che inutile.
Quel che importa è sapere che il resto della sua vita egli la trascorse a parlare con Dio e a parlare di Dio, in una lotta incessante contro il proprio egoismo. La coscienza del peccato non lo schiacciò, la presenza di Dio l’aiutò a uscire da sé: è questa, oggi, la via che egli ci suggerisce.
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