Le visite dei pontefici
Assisi: dopo il 1860 lo Stato confiscò le sedi religiose. Sessant'anni di lotta, poi l'intesa
Il Sacro Convento di Assisi ha
rischiato di estinguersi per mancanza
di frati. Lo Stato gli aveva
concesso la sopravvivenza a termine:
doveva chiudere i battenti nel
momento in cui sarebbe rimasto
con tre soli religiosi. Quanti umbri
sanno che il monumento, oggi
centro religioso universale, è stato
sul punto di dissolversi nel contesto
di una fiera controversia tra
la Santa Sede e il governo italiano
che, con una confisca, aveva fatto
l'asso pigliatutto? Un braccio di
ferro condotto tra il 1860 e il 1927
e intessuto di carte bollate, tribunali,
tentativi di transazione, incontri
e scontri. Decenni con lo
Stato e la Chiesa ai ferri corti. Dure
dispute in un periodo di pervicace
anticlericalismo.
Tutto cominciò l'11 dicembre
1860 con il Decreto del Commissario
Gioacchino Pepoli (delegato
per l'Umbria) che soppresse tutte
le Corporazioni religiose. Un drastico
provvedimento anticipatore
della legge nazionale 7 luglio
1866 (confische in tutta Italia)
che consentì anche al Comune di
Assisi di servirsi («per iscopo di
pubbliche beneficienze») dei beni
delle Corporazioni soppresse.
L'amministrazione assisiate collocò
in quei locali il Collegio Principe
di Napoli, per gli orfani dei maestri
elementari italiani. Collegio
che col tempo si estese fino all'Appartamento
papale e alla biblioteca
francescana.
La lite si risolse grazie alla determinazione
e alla raffinata competenza
giuridica di un diplomatico,
il conte Maggiorino Capello,
che riuscì a dimostrare, per quello
storico monumento, la secolare
e legittima proprietà della Santa
Sede. Decisivo fu il reperimento
della Bolla «Recolantes qualiter»
del 21 ottobre 1228 con la quale
Papa Gregorio XI, collocando la
prima pietra della Basilica, accettò,
per sé e per i suoi successori, la
donazione del terreno di Simone
di Puccio e di Monaldo di Lionardo.
Maggiorino Capello, incaricato
dal Sacro Collegio cardinalizio
di mettersi al servizio della causa,
assunse l'impegno con tanta dedizione
da fissare la sua residenza
ad Assisi. Al suo fianco, in particolare,
il cardinale Gaetano De Lai,
delegato apostolico per la Basilica.
E' enorme la documentazione
posta all'attenzione dello Stato italiano:
continue Bolle Papali (protrattesi
nei secoli) hanno ribadito,
per quel bene, l'assoluta proprietà
della Sede Apostolica, delineando
prerogative e privilegi identici a
quelli riconosciuti alla basiliche
patriarcali della città di Roma. Il
Conte Capello assunse, nel 1918,
l'incarico di rappresentare, in
ogni sede, le istanze del Vaticano:
sfoderando documenti
reperiti in antiche biblioteche,
già il 19 maggio 1919 ottenne
il riconoscimento, per
la Santa Sede, della proprietà
sul santuario di Assisi. E
nel 1921 strappò alla giunta
municipale (sindaco Ernesto
Mestrallet) la procedura
per il trasferimento
del Convitto che si era installato
nel Sacro Convento.
Il suo lavoro fu affiancato anche
da Eugenio Pacelli, futuro
Papa Pio XII.
Maggiorino Capello alla fine
la spuntò muovendo da
una motivazione iniziale tutt'altro che secondaria: «Pepoli
è partito dal falso presupposto
che i sacri edifizi (compresi nel
Decreto di soppressione) appartenessero
ai Frati Conventuali di
san Francesco. A quali permise
soltanto di continuare ad abitarvi
in via provvisoria fino a che fossero
ridotti al numero minore di
tre». La fine della lite il 4 ottobre
1927: a nome del governo italiano
il ministro Pietro Fedele restituì
il Sacro Convento. E il Convitto
venne trasferito in piazza Nuova.
Così il ‘cuore' dei francescani
è arrivato sino ad oggi. (La Nazione Umbria)
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