francescanesimo

Francesco vivo di Mauro Gambetti

Mauro Gambetti
Pubblicato il 10-10-2017

Se ciascuno scrivesse un tratto di Francesco che lo colpisce, ricostruiremmo un mosaico straordinario di umanità

Francesco vivo è il titolo di un Concerto che annualmente la Cappella musicale della Basilica dedica a san Francesco nell’antivigilia della Festa del Santo Patrono d’Italia. Credo non vi sia titolo commemorativo più azzeccato. Francesco è vivo nell’arte dei poeti, dei romanzieri, dei musici, dei pittori e degli scultori.

Francesco è vivo nella scienza degli ecologisti, degli antropologi, dei sociologi, degli economisti, degli architetti ed ingegneri. Francesco è vivo nella spiritualità dei frati, delle suore, dei laici, dei teologi, dei mistici, dei letterati. Francesco è vivo nella comunicazione dei media, dei fumetti, dei film, del web. Francesco è vivo nella comunità ecclesiale e civile; è vivo nelle religioni e nell’intreccio dei popoli. Insomma, Francesco è vivo.

Cosa lo rende così attuale? Tanti i tentativi di interpretarlo, spesso con la volontà di capirlo e farlo proprio. Nessuno vi è riuscito. Nemmeno io che, pro tempore, ne sono “custode”. Tuttavia, Francesco può essere avvicinato facilmente e con profitto. Occorre però avere in mano la chiave di accesso alla sua esperienza esistenziale. Senza di essa, Francesco è solo un morto vivente, ovvero un morto che si vuol far sopravvivere in uno dei tanti miti che ciascuno ama coltivare, secondo gli archetipi del proprio immaginario.

Cosa rende Francesco così attuale? Colpiscono di Francesco la pace, la letizia, la libertà. Colpiscono la cordialità, l’apertura, la prossimità. Colpiscono l’autenticità, la fedeltà, la dedizione. Colpiscono la passione, l’ardore, il desiderio. Colpiscono la tristezza, il pianto sconsolato, l’afflizione. Colpiscono la genialità, la creatività, la follia. Colpiscono l’ironia, la simpatia, il sorriso. Colpiscono la nostalgia, l’insoddisfazione, il patimento. Colpiscono l’immediatezza, la semplicità, l’umiltà. Colpiscono la povertà, la fiducia, la nudità. Colpiscono, la modestia, la mitezza, la solarità. Colpiscono la ruvidezza, la tenacia, la forza. Colpiscono la radicalità, il buon senso, la saggezza. Colpiscono l’esultanza, la vibrazione, il tremore. Colpiscono la generosità, il perdono sofferto, il silenzio…

 Se ciascuno scrivesse un tratto di Francesco che lo colpisce, ricostruiremmo un mosaico straordinario di umanità. Osserveremmo rilucere il volto dell’umanità, dell’umano di ogni uomo. Vedremmo come in controluce, in filigrana, il figlio dell’uomo. Per chi lo ha letto, non potrebbe non venire alla mente il Vangelo, che racconta il Figlio dell’Uomo qual egli è: tutto buono, tutto bello, tutto umile, vero. Conosceremmo, riflesso, il volto di Gesù Cristo, cui Francesco è stato reso somigliantissimo. Allora, questa la chiave: l’irruzione di Dio nella storia che in Gesù Cristo rivela l’uomo a se stesso, lo decifra, lo interpreta e lo trasfigura.

Francesco ha aderito a Lui con tutto se stesso. Con questa chiave si entra nell’esperienza “Umanante” di Francesco, dalla quale non si vuole più uscire, perché racconta appunto la vita piena che fa esclamare: “questo è bello, buono, vero”. Umanamente. Umano. Divino. Questo voglio? Qui comincia la sua attualità. Il resto appartiene all’esperienza del mito, propedeutica o illusoria che sia.

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