societa

Mons. Delpini: Il virus occupa tutto, si torni a parlare d'altro

Giampiero Rossi Ansa - Andrea Fasani
Pubblicato il 07-04-2021

L'arcivescovo di Milano: "Serve una alleanza e una radicale fiducia in Dio"

«Se l' animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza?». L' arcivescovo di Milano, Mario Delpini, guarda oltre le emergenze provocate dalla pandemia e indica alcuni temi su cui riflettere per ricominciare a «parlare d' altro».

Monsignor Delpini, dopo oltre un anno di resistenza alla pandemia e alle difficoltà economiche, a Milano coglie più segnali di solidità e ripresa o di fragilità e sfaldamento dei legami sociali?

«La città ferita non si lascia descrivere con una sola immagine. Io la vedo come un' orchestra che sta provando: ne vengono rumori dissonanti, pezzi di melodie, suoni sgraziati, passaggi virtuosi. I musicanti stanno provando: presto sarà eseguita la sinfonia. Io la vedo come una palestra: si praticano esercizi, ma non ci sono gare. Ciascuno pratica il suo sport: corrono, ma non vanno da nessuna parte. Tante solitudini: ciascuno ha cura di sé, si tiene in forma; meglio stare distanti dagli altri. Io la vedo come un organismo molto complesso. Ogni parte deve funzionare perché l' insieme funzioni. Ma in ogni parte non ci sono ingranaggi, ma persone: si alzano ogni mattina e si danno da fare perché la città funzioni. Alcuni si alzano anche di notte. Io la vedo come la strada che scende da Gerusalemme a Gerico, secondo la parabola raccontata da Gesù: ci sono molti poveracci lasciati malconci lungo la strada e ci sono molti samaritani che si fermano e si prendono cura di loro. E poi c' è la città che non vedo: gli eroismi e le meschinità, gli affetti e gli strazi, le violenze e gli usurai, i santi e i sapienti, gli stupidi e gli imbroglioni. Insomma io non vedo una città monocolore. Però credo che il punto di vista che comprende meglio la città è quello della Madonnina sulla guglia più alta del Duomo. La Madonnina - credo - vede la città come una comunità che merita di essere amata». (...) 

A Milano abbiamo assistito a un aumento delle povertà e dei bisogni, ma anche di iniziative di solidarietà nuove, molte nate nel mondo cattolico e in sintonia con le istituzioni. Da questa esperienza potrà uscire un nuovo modello di collaborazione con il sistema pubblico?

«Nessuno ha da guadagnarci da un modello caratterizzato da estraneità o da concorrenza o da contrapposizione tra corpi intermedi e istituzione pubblica. La tradizione ambrosiana ha sempre cercato un modello di collaborazione. Le emergenze forse hanno costretto a forme più abituali. Ma non c' è niente che si consolidi se non è pensato, voluto e costruito con competenza e lungimiranza. Un "nuovo modello" non uscirà di per sé da qualche esperienza vissuta in tempo di emergenza. Richiederà motivazioni, pensiero e decisioni».

In alcuni suoi interventi lei ha parlato di «emergenza spirituale». Perché?

«Intendo lanciare un allarme: se il virus occupa tutti i discorsi non si riesce a parlare d' altro. Quando diremo le parole belle, buone, che svelano il senso delle cose? Se il tempo è tutto dedicato alle cautele, a inseguire le informazioni, quando troveremo il tempo per pensare, per pregare, per coltivare gli affetti e per praticare la carità? Se l' animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza? Se uomini e donne vivono senza riconoscere di essere creature di Dio, amate e salvate, come sarà possibile che la vicenda umana diventi "divina commedia"?».

In questi mesi lei ha continuato a visitare parrocchie, case di riposo, istituti religiosi, opere sociali. Come sta il mondo cattolico ambrosiano? Come reagiscono i preti a questa crisi? 

«I preti sono di quelli che si alzano ogni mattina e si domandano: che cosa posso fare oggi per seminare speranza? E pregano. Poi cominciano a pensare: che cosa c' è da fare oggi? Allora vedono nell' agenda a che ora è il funerale. Le nostre comunità hanno fatto troppi funerali e perciò c' è un po' un' aria da funerale. Reagiscono i volontari: ci sono forme di sollecitudine commoventi, dappertutto. Reagiscono i preti. Aiuta il calendario: arriva la domenica delle palme e ci siamo ingegnati a celebrare una festa non tanto festosa, ma intensa. Arriva Pasqua e ci siamo preparati per celebrazioni con presenze ridotte, con corali ridotte, con processioni ridotte. Il mistero che celebriamo non si è ridotto. Una gioia sorprendente, per chi l' accoglie! Arrivano le prime comunioni e le cresime: forse mai così ordinate, mai così raccolte. I ragazzi sono imbambolati o concentrati? Chi sa? Insomma io sono pieno di ammirazione per i preti e per tutta la gente delle nostre comunità, ma non posso nascondermi le fatiche, le tristezze, le solitudini, le stanchezze. E poi i malati, troppi malati. E poi i morti, troppi morti!». (...)

Colpisce molto anche quello che lei ha definito «lo strazio dell' impotenza», puntando il dito sull' emergenza e la precarietà della situazione dei ragazzi, degli adolescenti in particolare.

«Si comprende la preghiera accorata, mentre la chiesa continua ad avere cura dei ragazzi e dei giovani... La Chiesa porta il suo contributo specifico: annuncia che la vita è una vocazione, è una grazia, una responsabilità. In particolare la chiesa ambrosiana, coerente con la sua tradizione, offre strutture e percorsi per accompagnare con gli oratori, le scuole, lo sport, le iniziative aggregative, i movimenti ecclesiali. Ma serve una alleanza: per condividere una visione delle priorità, per convergere di fronte a sfide formidabili, per accompagnare percorsi complicati. Famiglie, chiesa, scuola, sport, cultura in genere, istituzioni sono chiamate all' alleanza per affrontare l' emergenza educativa. Risponderanno all' appello? Serve una alleanza: per contrastare le forze ostili che corrompono i giovani e sono particolarmente pervasive offrendo un piacere che rovina la salute e l' anima imponendo dipendenze, spegnendo la speranza e il senso di responsabilità. Serve una alleanza e una radicale fiducia in Dio che vuole salvare tutti e attira tutti a sé, anche i giovani di questa generazione». (Corriere della Sera, l'intervista integrale nel quotidiano in edicola il 6 aprile 2021)

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