societa

Insegniamo ai bimbi a «vedere» un'opera di Giotto e Cattelan

Vincenzo Trione Ansa - Daniel Dal Zennaro
Pubblicato il 20-07-2020

La storia dell'arte a scuola è ormai marginale: un grave errore

Cara Marianna, nella tua lettera cogli alcuni nodi delicati: la mancata valorizzazione delle competenze, la banalizzazione della cultura, soprattutto la marginalizzazione nei programmi scolastici dell' insegnamento della storia dell' arte. Che fu inserito nei licei classici dal ministro-filosofo Giovanni Gentile nella riforma del 1923. Nel corso dei decenni, quel visionario provvedimento è stato sempre più svilito, spogliato, svuotato di ogni dignità. Alcuni tra i momenti più recenti di questa lenta eutanasia.

La riforma Gelmini (2008) taglia drasticamente gli insegnamenti di Disegno e Storia dell' Arte negli Istituti professionali; li ridimensiona nei Licei artistici; e li cancella nei bienni dei Licei scienze umane, nei Linguistici e negli indirizzi di Turismo e Grafica degli Istituti tecnici. Nel 2013, l'Anisa (associazione degli storici dell' arte) pubblica un appello: «Nel Paese dei Beni Culturali, impedire ai ragazzi di maturare un' adeguata conoscenza del proprio patrimonio storico-artistico significa ostacolare una formazione culturale degna di questo nome (...). Se non si impara la storia dei luoghi e dei monumenti che ci circondano, come si potrà capire chi siamo?». Per dare una risposta a domande analoghe, al tempo della cosiddetta Buona Scuola (governo Renzi), alcuni esponenti del Pd lanciano lo slogan «Reintrodurremo la Storia dell' arte nella scuola italiana!». Uno slogan, appunto. Smentito dai successivi atti politici. Diretta conseguenza: un dilagante analfabetismo visivo.

Che va collegato al pericoloso (e sistematico) attacco alle humanities , spesso giudicate quasi un optional dai ministri succedutisi negli anni.

Intrattenimento? Evasione?
No. La storia dell' arte dovrebbe essere intesa come una presenza necessaria, ineliminabile nella formazione delle generazioni future. Perché suggerisce un dialogo sempre problematico con i fenomeni; è fondamento della coscienza critica; stimola l' intelligenza creativa; offre gli strumenti per abitare diversamente il mondo; aiuta a collegare il reale e l' immaginario; disegna i confini all' interno dei quali geografie non contigue - storia, letteratura, filosofia, scienze e religione - pur salvaguardando differenze, specificità e tensioni reciproche, si co-appartengono e scoprono finalità e significati comuni.

E, tuttavia, bisognerebbe abbandonare un'idea talvolta troppo conservatrice e decadente di questa disciplina, per porla in risonanza con il cinema, la fotografia, l'architettura, il design e la moda, delineando i confini di una sorta di galassia delle culture visuali, sulle orme della lezione di studiosi come Ragghianti, Argan, Brandi, Menna e Dorfles.

Ma la storia dell'arte, come ricorda Marianna nella sua lettera, è soprattutto altro. Un sapere che ha il valore di un decisivo baluardo civile, politico. Va concepita, perciò, non come esperienza a circuito chiuso, né come mera alfabetizzazione su opere, tecniche e vite di pittori, ma come alta forma di educazione civica, indispensabile per permettere alle nuove generazioni di diventare davvero coscienti della bellezza della propria nazione...

Sin dalle elementari, i cittadini di domani dovrebbero imparare non solo a leggere e a far di conto, ma anche a «vedere» le opere di Giotto, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Tiziano, Caravaggio, Boccioni, de Chirico, Cattelan. È quel che aveva invitato a fare già Roberto Longhi, il quale aveva chiesto di ampliare «l' asfittico spazio concesso a quella storia dell' arte che ogni italiano dovrebbe imparar da bambino come una lingua viva, se vuole avere coscienza intera della propria nazione». Un invito rimasto inascoltato.(Corriere della Sera)

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