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Denise Bonapace, la progettista che crea benessere diffuso

Redazione
Pubblicato il 03-12-2019

La fashion designer: Siamo invasi da una quantità pazzesca di prodotti e accessori da recuperare

Denise Bonapace ha sempre veicolato con esorbitante visionarietà messaggi ecosostenibili, indagando sul rapporto fra corpo e abito. Fashion designer, progettista e docente di Knitwear Design presso NABA e Politecnico di Milano, Denise si muove con orgoglio nel perimetro della consapevolezza: «Siamo invasi da una quantità pazzesca di prodotti e accessori da recuperare, ed è necessario avere più coscienza sul loro riutilizzo. Ho sviluppato nel corso degli anni diversi processi di recupero entrando nelle cattedrali dell’abito dismesso per progettare moda in maniera diversa». Dopo aver realizzato LABEL – un abito-installazione composto interamente da 1.100 etichette, proprio perché rappresentano il rifiuto per antonomasia, impossibile da recuperare – oggi Denise firma ABITARIO, un incontro fra due diverse generazioni di artigiane, quella delle maestre-magliaie e quella delle neo-laureate in fashion-design.

Il motivo?

«Perché chi sceglie di svolgere un’attività artigianale non trova sempre le strade aperte. Il mio ruolo di docente consiste anche nel riuscire a dare risposte concrete agli studenti. Ho così pensato ad ABITARIO, permettendo alle ragazze di lavorare a stretto contatto con le maestre. Questa unione, oltre alla reciproca contaminazione e arricchimento, favorisce la nascita ibridi molto interessanti».

La buona notizia è che i corsi tecnici delle attività manuali stanno tornando in voga.

«Sì ma non tanto nelle scuole elementari o medie, dove erano collocati un tempo, ma nelle università. Già dai primi anni del Duemila, infatti, lo studio della progettazione negli atenei si è incentrato sull’utilizzo delle macchine e sull’attività manuale. ABITARIO nasce per promuovere l’idea di laboratorio evoluto, e l’affinamento di una dote che potrebbe diventare mestiere».

Negli ultimi tempi si parla tanto di recupero tessile.

«Sì. Un sacco di cose che buttiamo sono ancora in ottimo stato. La nostra idea è quella di lavorare intorno al rammendo. Si può farlo seguendo la tecnica classica del fatto a regola d’arte, come le maestre insegnano; ma se non c’è tanta esperienza – come ABITARIO suggerisce nel suo piccolo catalogo – si può lavorare sui rammenti facendo sì che il buco non venga chiuso ma evidenziato da un contorno. Per farla breve, tutto quel che è difetto non viene nascosto ma enfatizzato come un punto di forza».

Una scelta che rinvigorisce il rapporto d’affetto verso alcuni capi.

«Se nell’armadio abbiamo un capo che ha un buchino, invece di buttarlo, perché è un ricordo affettivo, ce ne prendiamo cura, lo sistemiamo e lo valorizziamo in maniera che possa nuovamente essere indossato. Ci stanno chiedendo molti workshop a riguardo».

Possiamo e dobbiamo dirlo: sei stata una pioniera. I tuoi progetti, non a caso, sono stati protagonisti di esposizioni internazionali.

«In ogni lavoro si possono trovare gli ingredienti giusti da impiegare per combinare la forma perfetta legata al tempo che stiamo vivendo. Ogni cosa può essere fatta al meglio, individuando cosa serve e magari usare la creatività per produrre benessere diffuso. Credo sia questo l’aspetto più bello di ogni progetto».

Progetto. Un parola ricorrente.

«Progetto vuol dire gettare oltre, gettare avanti; per farlo bisogna capire dove si è per evitare lanci a vanvera. Probabilmente per le mie scelte sono stata un po’ penalizzata, perché il mondo della moda che conosciamo, quello che tutti vogliono vedere, è ben distante da quel che faccio. Ma la strada che ho scelto di percorrere mi permette di progettare, appunto, oscillando fra moda e design, facendo soltanto quello che più mi piace e che credo sia più giusto».

Fai parte di quelli che hanno visto lontano quando gli altri ancora non guardavano.

«Ho seguito un percorso iniziato al Politecnico, da studentessa. Mi auguro che il parlare con frequenza di sostenibilità possa condurre a qualcosa di veramente buono, non soltanto in piccolo ma anche in grande. L’industria del fashion è quella che inquina di più, non dimentichiamolo, e questo dovrebbe far riflettere non soltanto chi produce ma anche chi acquista».

Denise, qual è la tua più grande ambizione oggi?

«Ho letto una frase bella che continua a ronzarmi in testa da giorni: “Chi non crede al soprannaturale non può credere nemmeno al naturale”. Se riusciamo ad aprire mente e spirito a quello che è il mondo, faremo cose buone e belle. È una riflessione legata anche alla sostenibilità, ovviamente. L’anima che mettiamo quando facciamo le cose ci permetter di evolvere e di fare sempre al meglio. Ecco, io mi auguro di fare sempre cose più belle e, lo ripeto, diffondere benessere».

Domenico Marcella
Twitter: twitter.com/dodoclock

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