Le visite dei pontefici
Stiamo vivendo tutti, in bolle. Bolle di sapone, potremmo quasi dire. Barriere che ci distanziano l’uno dall’altro. E non può che essere così, per forza: l’emergenza sanitaria ce lo richiede, il senso civico e di responsabilità ci sta chiamando a fare ciò. E non possiamo fare altrimenti. E, in questo, stiamo sperimentando cosa voglia dire, veramente, la parola “isolamento”.
Il coronavirus oltre alle migliaia di vittime che sta mietendo, oltre agli innumerevoli contagi che ci vengono comunicati di giorno in giorno, da settimane, ci sta mettendo di fronte a uno scenario sociale che mai avremmo immaginato: ognuno è distante dall’altro, almeno fisicamente. La distanza raccomandata è di un metro. Ancor meglio se di più. Insomma: più si è lontani, meglio è. Nelle strade, nelle viuzze, nelle piazze delle città, deserte e silenti, quello che sembrava naturale fino a ieri, ora ci sta sembrando un lontano ricordo: l’abbraccio, il bacio, la stretta di mano, i gesti della nostra vita quotidiana sembrano sospesi nell’aria, in uno spazio temporale e geografico che - oggi - è solo racchiuso nel forziere della nostra memoria che - vuoi o non vuoi - sta ripercorrendo, in forzato isolamento, le immagini dei giorni passati, quasi lontani nel tempo, in cui la nostra vita sociale si diramava attraverso proprio quei gesti.
Il gesto, quanta ricchezza in questa semplice parola. L’etimologia ci aiuta a comprenderne meglio il senso: dal latino gestus , derivante da gerĕre, compiere. Dunque, il gesto ha di sé per sé, inevitabilmente, la forza del verbo “compiere”. E ora, invece, ci ritroviamo nel “non compiere”, perchè così è necessario - giustamente - agire. Ossimoro profondo: agiamo, non agendo. Ma proprio per questa assenza- mancanza, forse, dovremmo allora soffermarci, ancor di più, su cosa quei gesti - l’abbraccio, il bacio, la stretta di mano - vogliano dire per noi.
La vita prima del corona virus - ormai, credo proprio che l’avverbio “prima” e “dopo” cod19, segnerà profondamente il nostro futuro, un po’ come si legge nei libri di storia “prima e dopo la seconda guerra mondiale” - ci aveva abituati forse a non entrare nel profondo del cosa si “nasconda” dietro a quei gesti. Il compierli, così facilmente, con enorme disinvoltura - forse - ci aveva abituati a una sterile routine.
E questa - è cosa risaputa - toglie sempre il “gusto”, l’ “attesa” di qualcosa che tanto si dà per scontato. E, invece, la nostra vita dovrebbe - sempre - scorrere con l’idea del dono, del “non scontato”, fin dalle prime ore del nostro risveglio. Noi ci stavamo dimenticando di questo, credo. E ora? Ora che tutta questa vita “sociale”, questi “gesti” sono assenti, comprenderne il significato profondo, potrebbe farci più che bene. Potrebbe darci l’opportunità di riflettere - veramente - su quanto questi semplici gesti possano racchiudere un mondo di sentimenti, di affetti, su quanto siano l’espressione del nostro “io” più recondito.
Oggi ci viene chiesta la responsabilità per alcune limitazioni, domani, quando tutto sarà finito, quando si ritornerà alla normalità, la speranza è che ognuno, nel proprio cuore, possa sentire un’altra “tipologia” di responsabilità: si potrebbe chiamare la responsabilità del gesto, perchè è in questo che si esprime il nostro essere.
Cercare di comprendere, proprio in questo assordante silenzio che avvolge l’intero globo, il senso profondo di un abbraccio, di un bacio, di una stretta di mano, potrebbe essere un “allenamento” da compiersi in questi giorni. Viene in mente un autore teatrale del Novecento, che proprio sul “gestus” aveva riflettuto.
Lo aveva fatto nell’ambito del teatro - è vero - ma nessuno ci vieta di trasportare la sua riflessione nella nostra vita: il gestus è rivelazione esteriore delle “motivazioni” che portano a compiere quel gesto, così ci faceva notare Bertolt Brecht. Allora, è bene poter ridare a quei gesti la loro natura più intrinseca, per poter esprimere - ancora meglio di come lo abbiamo fatto fino a oggi, fino al “prima covid19” - la nostra responsabile umanità che è consapevolezza di essere partecipi, tutti, di un mondo in cammino, di essere - come diceva una canzone di Rino Gaetano - “sulla stessa barca io e te”.
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