religione

Santità liquida che tutto cura

Marino Niola - Repubblica Wikipedia
Pubblicato il 22-08-2020

Nel Seicento la manna smette di piovere dal cielo e comincia a sgorgare dal corpo dei guaritori

«Lo strato di rugiada scomparve, ed ecco sulla superficie del deserto, una cosa fine e granulosa, minuta come la brina sulla terra. Quando i figli d’Israele la videro si dissero l’un l’altro "Che cos’è?"». Quella cosa fine e granulosa è la manna che il Signore fa piovere abbondante dal cielo per sfamare gli Ebrei nel deserto. Lo racconta il Libro dell’Esodo. E lo ricordano ancora oggi gli Ebrei ogni venerdì sera, all’entrata dello Shabbat, quando alzano al cielo le challot, i due pani dolci a forma di treccia che rievocano proprio quella doppia razione di manna, che Dio non fa mai mancare al suo popolo perché possa riposare il sabato. In realtà quella sostanza meravigliosa è la meraviglia fatta sostanza. È il suono stesso della domanda "Che cos’è?" — in ebraico "Man-hu?", da cui il nostro "manna" — che si trasforma in risposta miracolosa. E dunque in metafora dai mille sensi, sia sacri sia profani. In primo luogo, quello di verità divina, intesa come nutrimento spirituale, di cui hanno fame uomini di Dio del calibro di san Domenico che «per amor della verace manna, in picciol tempo gran dottor si feo». Parola di Dante. Ma è anche simbolo dell’Eucaristia, che piove sull’umanità come un dono celeste. Così la raffigura Giorgio Vasari nella Caduta della manna , una tavola dipinta nel 1540 per il Monastero di Camaldoli nell’Aretino, che trasforma quella sospensione cosmica in una sorta di danza incantata. Ma il termine assume anche l’accezione profana di consolazione, sollievo, fortuna insperata. Sempre e comunque significati salvifici e provvidenziali. Che innalzano l’asticella dell’astrazione e fanno dimenticare la materialità della cosa, la natura di quella secrezione celeste, il mistero di quella rugiada bianca.

A rimettere la questione sul concreto andante è invece l’immaginario del Seicento, il siglo de oro delle scoperte scientifiche, la meccanica dei fluidi, la circolazione del sangue, la medicina sperimentale. Che contagia anche la religione sottomettendo le allegorie teologiche alla cultura teatrale del barocco. Per cui è vero ciò che colpisce i sensi prima ancora che l’intelletto. È allora che la manna torna ad essere per tutti anche un liquido materiale, concreto, palpabile. Che questa volta non piove dal cielo, ma sgorga in limpidi rivoli dal corpo incorruttibile dei santi guaritori. Come san Nicola, antico vescovo di Mira in Turchia, il cui corpo viene rubato da alcuni marinai pugliesi nel 1087 e trasportato a Bari. Quando i cristiani si avvicinano alle reliquie si accorgono con stupore che galleggiano in un liquido purissimo che chiamano olio. Ma che nel corso del tempo prende il nome di manna e viene usato per curare i malati.

La secrezione inesauribile di questo umore diventa il simbolo della potenza taumaturgica del santo, veneratissimo sia dai cattolici che dagli ortodossi. Facendo di Bari uno dei grandi poli della medicina soprannaturale. Ancora oggi nella basilica del santo il 9 maggio, giorno della traslazione da Mira, ha luogo il rituale prelievo della santa manna. Una schiera bianca di sacerdoti scende nella cripta dove il Rettore del santuario, giunto davanti alla tomba si inginocchia e prega. Poi si immerge letteralmente nel sepolcro, armato di una cannula di cristallo per l’aspirazione delle sacre stille. A spuntare sono solo le sue gambe, il resto della persona è assorbito dal mistero. Dopo alcuni interminabili minuti, riemerge dall’oscurità e mostra l’ampollina con il liquido miracoloso. Che viene distribuito ai fedeli, dopo essere stato miscelato con grandi quantità di acqua santa, in modo da poter accontentare tutti. Il procedimento somiglia alla diluizione e alla dinamizzazione omeopatiche, che consistono prima nello sciogliere il principio attivo per ridurne l’energia in dosi infinitesimali, compatibili con l’impiego terapeutico. E poi nell’agitare la soluzione scuotendola per cento volte, proprio come faceva il fondatore della medicina omeopatica, Samuel Hahnemann, che batteva e ribatteva il flacone sulla Bibbia.

La manna di san Nicola sembra la traduzione in termini religiosi della discussa teoria della memoria dell’acqua, oggetto di un dibattito accesissimo tra razionalisti e simbo-listi, possibilisti e negazionisti. A sostenerla in tempi recenti è stato soprattutto l’immunologo Jacques Benveniste al quale hanno dato man forte il premi o Nobel Luc Montagnier e un gruppo di fisici italiani guidati da Emilio Del Giudice, che hanno sostenuto l’esistenza di un potere dell’acqua, spiegabile a loro avviso con la capacità del Dna di creare onde elettromagnetiche in diluizioni acquose. Insomma, sembra un sorprendente cortocircuito fra magico e avveniristico, fra scienza e fantascienza. Tra liturgia e terapia, come se dentro la manna del santo, rimanesse la traccia della sua potenza. Ed è quantomeno curioso che negli ambienti omeopatici tedeschi e anglosassoni, come sinonimo di dinamizzazione, si usi proprio il termine potenza.

In questo senso è significativo che analoghi poteri idroterapici vengano attribuiti anche ad un altro grande taumaturgo come san Michele Arcangelo. Che, secondo il Vangelo di Giovanni, discende nella piscina di Betesda, a Gerusalemme, dove si raccolgono zoppi, paralitici, ciechi, e agita le acque. Il primo ad entrarvi dopo la dinamizzazione guarisce da qualsiasi malattia sia affetto. Insomma, una Lourdes prima di Lourdes.

Un’altra manna eccellente è quella che scaturisce dal corpo di sant’Andrea Apostolo, sepolto nella cripta del Duomo di Amalfi. La sacra rugiada sin dal Cinquecento viene adoperata anche dalla medicina ufficiale come rimedio contro una serie di patologie fisiche e mentali. I potenti d’Europa fanno a gara per assicurarsi le boccette della prodigiosa essenza. Tra i pazienti più illustri c’è Torquato Tasso. L’autore della Gerusalemme liberata , in una lettera al cardinale Scipione Gonzaga, scritta il 13 settembre 1583 nell’ospedale ferrarese di Sant’Anna dove è rinchiuso tra i "forsennati", dice di trarre grande beneficio dal farmaco celeste che il porporato gli fa arrivare regolarmente da Amalfi. Il poeta sorrentino dedica anche dei versi prodigiosi al fluido miracoloso: «O prezioso umor di corpo esangue, che sparge così chiara e lucid’onda... ». Quell’onda da secoli va e torna. Fluisce e stupisce. Lenisce e guarisce. E celebra il trionfo della santità liquida.

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA