religione

San Francesco e il presepe di Greccio negli affreschi di Giotto

Redazione online
Pubblicato il 01-12-2019

L’evento raffigurato è la celebrazione del Natale a Greccio nel 1223, quando Francesco, preoccupato di trasmettere la propria emozione davanti al mistero della nascita di Gesù,  “fece preparare una stalla, vi fece portare il fieno, e fece condurre sul luogo un bove e un asino”, come scrive Bonaventura. “Siadunano i frati [continua], accorre la popolazione, e l'uomo di Dio stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia. Il santo sacrificio viene celebrato sopra la mangiatoia, e Francesco, levita di Cristo, canta il santo Vangelo. Predica al popolo e parla della nascita del Re povero e, nel nominarlo, lo chiama per tenerezza, il ‘bimbo di Betlemme’”.

Giotto è fedelissimo al testo bonaventuriano, facendo vedere,  insieme a Francesco parato da ‘levita’ (diacono), numerosi frati, il prete all’altare, gli uomini e le donne di Greccio. In alcuni aspetti però l’artista prende delle libertà: a differenza del anonimo autore della Pala Bardi, ad esempio  - che nella stessa scena illustrava il canto del vangelo -, Giotto focalizza l’attenzione sul santo in adorazione del bambino, lasciando all’ambone, in alto a sinistra, il compito di evocare la proclamazione della Parola.

La maggiore libertà che Giotto prende è quella di inscenare l’evento nel  presbiterio di una chiesa, mentre sia Bonaventura che Tommaso da Celano l’avevano ambientato all’aperto,  in un bosco.  Giotto cioè – presumibilmente con l’approvazione dei frati -  offre una ‘revisione pittorica’ del materiale testuale, intesa forse a legittimare la costosa basilica di Assisi ancora contestata da alcuni nell’Ordine.

Tuttavia l’affresco traduce la magia dell’evento: l’intensa emozione di Francesco e di coloro che, in quella notte di fine dicembre, assistettero a un momento irripetibile. Realizza anche il desiderio del Poverello di rinfocolare la devozione all'umanità di Cristo: “Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme”, dice Francesco nella Vita prima del Celano, “e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello”.

Il primo a commuoversi davanti alla scena così concepita è Francesco stesso, abbiamo detto. Ma anche il sacerdote all’altare si gira per contemplare il gesto dal Poverello, ed “assapora una consolazione mai gustata prima”, come nota il Celano. Tutti e due i biografi, poi – Celano e poi Bonaventura -, confermano poi che la voce di Francesco, quando  cantò il Vangelo della Natività, era con tale da rapire tutti in desideri di cielo.

In questo affresco la persona umana, gli ambienti della sua vita e le cose di cui si serve vengono descritte con un realismo non visto nell’arte europea da mille anni. Se consideriamo insieme il soggetto e lo stile, possiamo dire che la nascita di Dio nel corpo, vissuto intensamente da Francesco e dai suoi seguaci, ha investito d’importanza tutto ciò che serve al corpo, e - come davanti al presepio di Greccio nel 1223  Francesco era “vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile” -, così settanta anni più tardi Giotto vibra di emozione davanti alle cose umili di cui parlava il Poverello, fino al punto di organizzare le strutture e gli oggetti in profondità grazie a un utilizzo precoce ma già sapiente della prospettiva, in questa costruzione spaziale tra le più complesse tentate sin dal venir meno della pittura romana.

Non mancano riferimenti simbolici:  i padri della Chiesa ricordavano che il termine ‘Betlemme’ significa ‘casa del pane’, e qui Giotto colloca la mangiatoia in cui il bambino è posto accanto all’altare su cui del pane diventerà il Corpo che, adulto, Cristo darà come cibo; non a caso, poi, la mangiatoia è  posta sotto una grande croce.  Il messaggio di questi simboli compenetranti è chiaro:  il corpo del bambino che poi verrebbe offerto sulla croce è  pane di vita eterna.

In Giotto però il simbolo si nasconde in cose ordinarie, come in Cristo la divinità fu velata dall’umanità.

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