religione

Lunghi: L'arte nella Chiesa

Elvio Lunghi Archivio Fotografico Sacro Convento Assisi
Pubblicato il 21-01-2022

Basilica del Dio Crocifisso

Trent’anni fa fra Pasquale Magro, religioso maltese vissuto a lungo nel convento di Assisi, chiamò in un suo libro la chiesa di San Francesco la “Basilica del Dio Crocifisso”, per il significato particolare che l’immagine del Cristo morto svolgeva nel programma iconografico: “La monumentale, triplice raffigurazione del Crocifisso in ognuna delle crociere delle due chiese già esse stesse costruite a forma di T, sul “colle delle forche” fuori porta, non è che la punta dell’iceberg costituita dal tema della Passione. Nei due piani dell’edificio, il ciclo della Passione è insistentemente presente in ben cinque edizioni. [...] Ma quel che dà alla Basilica del santo il diritto ad essere chiamata anche la Basilica del Crocifisso non è solo la quantità di spazio riservato al tema bensì il tipo teologico della figura di Cristo che le croci portano“.

Fra Pasquale aveva preso in esame le sole immagini del Crocifisso affrescate alle pareti della chiesa odierna, trascurando gli eventuali Crocifissi che dovevano trovarsi sopra gli altari o i recinti della chiesa antica, perché se manca qualcosa in San Francesco sono proprio i Crocifissi dipinti o in rilievo. Se ne vedono soltanto due: uno scolpito da Giovanni Teutonico ora collocato nella cappella di Santa Caterina ma che era un tempo nella cappella del Terz’Ordine, dove era utilizzato per le cerimonie paraliturgiche che accompagnavano gli affiliati alla sepoltura; il secondo dipinto da un pittore romanico per la chiesa montana di Santa Maria del Gualdo, da qui entrato nel Museo del Tesoro e infine collocato alle spalle dell’altare della chiesa inferiore nell’occasione del Giubileo del 2000.

Eppure, se osserviamo le storie della vita di san Francesco nella chiesa superiore, di Crocifissi dipinti ne vedremo altri due: uno visto da tergo nell’episodio del Presepe di Greccio, con la parchettatura in vista; l’altro visto di fronte, nell’episodio dell’accertamento delle Stimmate. Per entrambi i quadri c’è chi ha parlato di una ambientazione all’interno di San Francesco: nel primo il presbiterio della chiesa inferiore con sullo sfondo il pontile che divideva la pars plebana alla pars presbiterialis, sopra il quale era esposta una croce rivolta verso il popolo; nel secondo la navata della chiesa superiore attraversata da una trave che portava tre immagini sacre, un Crocifisso in mezzo a una icona della Madonna e a una statua di San Michele Arcangelo.

Di una delle due croci conosciamo persino il nome del pittore, perché l’anno 1236 il ministro generale fra Elia commissionò a Giunta Pisano un grande Crocifisso patiens con un suo ritratto ai piedi del Cristo per festeggiare la conclusione della costruzione. Il Crocifisso era esposto sopra l’iconostasi nella chiesa superiore, nel 1623 fu spostato sulla parete di facciata, da dove cadde finendo a pezzi e fu gettato via.

I due Crocifissi imitati nella Leggenda francescana sono persi da tempo, ma poche immagini come queste sono state riprodotte in libri di storia dell’arte come esempio del ruolo svolto dai dipinti mobili all’interno degli edifici religiosi medievali. Il Museo del Tesoro conserva un terzo Crocifisso del quale s’ignora la collocazione originaria; mentre un quarto, dovuto allo stesso pittore, fu venduto negli anni ’20 dell’Ottocento a Johann Anton Ramboux, pittore tedesco di passaggio ad Assisi per studiare la decorazione medievale di San Francesco, e si trova ora esposto nelle sale del Wallraf-Richartz Museum di Colonia in Germania.

La croce del Tesoro e la croce di Colonia rappresentano un Christus patiens dipinto su entrambe le facce. Le croci bifacciali erano un tempo assai diffuse ma avevano dimensioni più contenute - la croce del Museo del Tesoro è alta 110 cm - e le si esponeva sopra mense d’altare. Ne troviamo un esempio nelle storie della vita di san Francesco nell’episodio della visione dei troni, con san Francesco che prega davanti a un altare fornito di una minuscola croce. Si trattava per lo più di croci eseguite a sbalzo in metalli preziosi, decorate sui due lati con il momento della morte e della resurrezione di Cristo: da una parte il Cristo morto, nell’altra il Crocifisso trionfante o l’Agnello mistico tra le immagini dei “quattro viventi” secondo la visione di Ezechiele.

Molti anni fa, nello scrivere un libro dedicato al Crocifisso di Giunta Pisano della Porziuncola, feci un viaggio in Germania per vedere un grande Crocifisso nell’ex abbazia cistercense di Schulpforta, alle porte di Naumburg in Turingia. Lo trovai ancora appeso con catene di ferro al centro della navata e con una sola faccia decorata dall’immagine del Cristo morto, mentre perduta era la decorazione dell’altro lato. Non poteva essere questa la disposizione delle due croci di Assisi e Colonia, per essere queste troppo piccole rispetto alle dimensioni della chiesa di Assisi.

Una soluzione potrebbe essere quella descritta da Ramboux nel catalogo della sua collezione, raccontando di aver trovato il Crocifisso ora a Colonia tra la spazzatura nella torre campanaria di San Francesco, ma che era in precedenza utilizzato nelle processioni del Venerdì Santo. È possibile una diversa soluzione, e cioè che i due Crocifissi fossero in origine appesi tramite una catena sopra gli altari circondati da cancelli al centro del presbiterio delle due chiese, per essere visti dai frati che assistevano alle funzioni liturgiche stando nel coro. Non è comunque credibile, come ipotizzava il catalogo del museo uscito nel 1980, che i due Crocifissi si trovassero in origine sopra gli altari addossati alle pareti della navata inferiore, perché altrimenti non avrebbe avuto senso che fossero decorati su entrambi i lati.

Del resto, prima delle grandi Crocifissioni dipinte da Cimabue, da Giotto e da Pietro Lorenzetti alle pareti dei transetti delle due chiese, i rispettivi altari non potevano mancare d’immagini sacre. È un’altra possibile soluzione per la collocazione delle croci del Tesoro e di Colonia, ma chissà quanti altri dipinti mobili mancano ancora nel nostro inventario.

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