religione

La santità fra amici. Santa Teresa d'Avila e San Giovanni della Croce

Antonio Tarallo churchpop.com
Pubblicato il 14-10-2019

La storia dell'amicizia fra i due santi carmelitani

“Il Signore ci rivolge queste meravigliose parole: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici” (Gv 15, 15). Tante volte sentiamo di essere - come è vero - soltanto servi inutili (cf Lc 17, 10). E, ciò nonostante, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. Il Signore definisce l’amicizia in un duplice modo. Non ci sono segreti tra amici. (...) Cristo ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. (...) Ci ha reso suoi amici – e noi come rispondiamo?”.
Queste, le parole dell’allora Cardinal Ratzinger nella Messa Pro eligendo Pontefice, del 18 aprile 2015. Parole sul valore dell’Amicizia.

Ci è sembrato il modo più opportuno per introdurre una storia affascinante, quella - appunto - di due amici che hanno segnato la Storia della Chiesa, e - in particolar modo - la storia dell’Ordine carmelitano. I protagonisti della nostra “favola” sono Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce. Colossi della Teologia (entrambi Dottori della Chiesa), umanamente legati da un’amicizia spirituale del tutto particolare, unica.

Giovanni della Croce entrò nell'Ordine dei fratelli carmelitani “calzi” a ventun anni, e a ventisei incontrò Teresa che ne aveva già cinquantatré anni. Invece di passare all’Ordine certosino per vivere una vita di penitenza più austera e di contemplazione come aveva in mente, si unì a Teresa, condividendo con lei, il sogno - poi realizzato - di riformare l’Ordine del Carmelo tra i religiosi uomini, come Teresa aveva già iniziato a fare fra le donne. Per la realizzazione di quel progetto egli dovette sopportare calunnie e persecuzioni di grande crudeltà. A differenza di Teresa non divenne mai il fondatore giuridico, ma fu lo spirito ispiratore del Carmelo. Un progetto in comune, una speranza da realizzare con il Signore, e per il Signore. Una comunione di non poco conto, dunque. Fra due amici.

L’amicizia fra i due personaggi, però, non è solo da trovarsi nelle “grandi cose del Cielo”, ma anche in quelle “pratiche”, quelle quotidiane, vissute nella semplicità. Non sarà un caso, infatti, che proprio in occasione della sua prima messa, celebrata a Medina, che Giovanni incontrò Santa Teresa d’Avila. Fu l’occasione per coinvolgerlo nella sua missione di Riformatrice dell’antico Ordine Carmelitano. E, tra l’altro, fu Teresa stessa a cucire per lui un umile abito di lana grezza, e ad aiutarlo nella prima organizzazione di un poverissimo conventino a Durvelo, sperduto nella campagna spagnola. Poi Teresa lo volle con sé ad Avila, per farsi aiutare nella formazione delle monache, di cui era priora. Ma l’attività dei due santi riformatori non era ben vista dall’Ordine, tanto da essere oggetto entrambi di calunnie come l’accusa di ribellione e di disobbedienza ai Superiori dell’Ordine. Furono questi i motivi per cui San Giovanni della Croce, fu “incarcerato” nel grande convento di Toledo. E fu in questa occasione, in questa “notte oscura”, che nacque una delle opere più belle e profonde dell’intera “letteratura teologica cattolica”: “La notte oscura”. E’ pura poesia, mistica e teologia, quest’opera che ci lascia sempre incantati: un novello “Cantico dei Cantici”, si potrebbe definire.

Anche Santa Teresa, è stata “poetessa dell’anima”, grazie al suo “Castello interiore”, il suo libro più famoso: la vita spirituale di ciascuno è concepita - per la santa di Avila - come “un castello tutto di diamanti e vetri chiari, in cui ci sono tante stanze, così come nel cielo ci sono tante dimore”. Per raggiungere la definitiva unione con Dio, l'anima umana dovrà percorrere sette stanze del castello.

Cerchiamo di riassumerle, in un breve vademecum: La prima dimora è segnata dalla preghiera: “La porta per entrare è la preghiera e la meditazione”. Nella seconda dimora, Dio entra nell’anima attraverso richiami esterni, la lettura di un libro, le parole di una predica, o anche le esperienze dolorose, come le malattie. Se queste chiamate di Dio sono ascoltate e la propria vita è ordinata alla volontà di Dio compiendo opere buone, cercando di stare lontani dai peccati, la ricompensa è costituita dalle consolazioni che sono le emozioni che accompagnano l’essere umano. Nella terza, si lotta e si persevera per non interrompere mai più il rapporto d'amore che lega il fedele a Dio. La terza dimora rappresenta dunque, per moltissimi cristiani, quel luogo in cui abiteranno quasi tutta la vita, o nel quale trascorreranno lunghi anni. E, finalmente, siamo nel vero e proprio cammino che comincia nella quarta dimora dove l’iniziativa si sposta completamente nelle mani di Dio; non si tratta del movimento dell’anima a Dio, ma del movimento che va da Dio all’anima, e ciò si concretizza nella differenza fra consolazioni e dolcezze: queste ultime hanno la loro origine in Dio e consentono l’orazione di quiete. La quinta dimora, si delinea nel gioco sottile dell’essere addormentati o desti; i sensi e le potenzialità umane si sono addormentati, ora si è svegli per Dio, perciò ci si addormenta alle cose del mondo e ci si risveglia in una dimensione diversa. Giungiamo allora alla sesta dimora, al fidanzamento spirituale: questa immagine serve per comprendere in termini umani ciò che accade fra Dio e l’anima, quando cercano di conoscersi e di provare il loro amore. Ultima la settima, in cui troviamo lo stato di unione con la divinità di Dio. Le Tre Persone si chinano sull’anima e si manifestano a essa in modo che la “divina compagnia” non l’abbandonerà più anche se la visione diretta non l’accompagnerà sempre, ma a tratti.

Guardando le vite dei due personaggi, viene da chiederci, con un po’ di fanciullesca seria ironia: chissà quante volte si sono incontrati in “queste stanze”, i due santi, anche nella “notte” più “ oscura”? Sicuramente tante volte, e si saranno fatti luce l’uno con l’altro.

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