religione

Il sogno del viaggio in Iraq di Giovanni Paolo II

Antonio Tarallo Ansa - Filippo Monteforte
Pubblicato il 04-03-2021

Il pontefice polacco avrebbe voluto compierlo nell’anno giubilare del 2000 

Qui, sulle alture del Monte Nebo, comincio questa fase del mio pellegrinaggio giubilare. Penso alla grande figura di Mosè e all’Alleanza che Dio strinse con lui sul Monte Sinai. Rendo grazie a Dio per il dono ineffabile di Gesù Cristo, che suggellò la nuova Alleanza con il proprio sangue e portò la Legge a compimento. A Lui che è "L’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, l’inizio e la fine", dedico ogni passo di questo viaggio nella terra che fu Sua”.  Venti marzo del 2000, anno giubilare per l’intera Chiesa. Il pontefice Giovanni Paolo II scruta dall’altura di quel monte l’Infinito. Ritroviamo in quel suo sguardo, quello del poeta Leopardi: “Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura”.

E su quel monte, venne eretto un monolito dello scultore Vincenzo Bianchi, definito il “Libro in pietra dell’Amore”, dedicato proprio a quella visita storica del pontefice polacco. Sopra quella pietra, citazioni del Vangelo di San Giovanni, delle Lettere di San Paolo. Le parole sono tradotte in tre lingue: in greco, in latino e in arabo. Il monumento voleva ricordare ai fedeli delle tre religioni che vivono in quest’area, il messaggio universale di Gesù e dei Profeti centrato sulla fratellanza universale che ha la sua origine in Dio, Padre di tutti.  Altra data, altro luogo. Facciamo un passaggio storico, a ritroso. “Alla Proust”, si direbbe. Non ricerchiamo il “tempo perduto”, anzi è un tempo da ritrovarsi. E ritroviamo sempre lui, il  pontefice Giovanni Paolo II. “Qui, sul Monte Sinai,  la verità  di «chi è Dio»  è divenuta fondamento  e garanzia  dell'Alleanza. Mosè entra  nell'«oscurità luminosa», e in questo luogo gli viene data la legge scritta «dal dito di Dio». Che cos'è  questa legge? È la legge  della vita e della libertà!”. Era il 26 febbraio 2000. 

Giovanni Paolo II fa riferimento poi, nel suo intervento, alle origini della Promessa: “Presso il Mar Rosso il popolo  aveva sperimentato  una grande liberazione. Aveva visto  la forza e la fedeltà di Dio, aveva  scoperto che Egli è il Dio che in realtà rende libero il suo popolo, come aveva promesso.  Tuttavia, ora sulla sommità del Sinai, questo stesso Dio suggella  il suo amore stringendo l'Alleanza alla quale non rinuncerà mai. Se il popolo  osserverà la Sua legge, conoscerà la libertà per sempre. L'Esodo  e l'Alleanza  non sono semplicemente eventi del passato, essi  sono  il destino eterno  di tutto il Popolo di Dio!”. Il ritorno alle origini è sempre un momento importante. In ogni storia che si rispetti. Così avviene ora con Papa Francesco e il suo viaggio in Iraq, culla della civiltà, che è la Terra Santa del patriarca Abramo, dei profeti Ezechiele e Giona. Terra dove fu scritta parte della Bibbia e dove il popolo della Promessa soffrì l’esilio babilonese. Il viaggio in Iraq era un sogno non realizzato di Papa Wojtyla.  Quel lembo di terra tra il Tigri e l’Eufrate, da dove - secondo la narrazione biblica - Abramo, padre delle tre fedi monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam), partì accogliendo la chiamata di Dio, era stato - da sempre - nel cuore del pontefice polacco.  Il suo desiderio era quello di preparare questo pellegrinaggio con quello a Ur dei Caldei, in Iraq, dove tutto ebbe inizio. Il viaggio era già pronto a dicembre del 1999 ma fu impedito dalla guerra.

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