religione

Il cammino di San Nilo nel parco del Cilento

Domenico Marcella
Pubblicato il 03-02-2020

Il tempo corrode e sfarina. Ma talvolta custodisce e protegge

Il tempo corrode e sfarina. Ma talvolta custodisce e protegge. Siamo nel cuore smeraldo del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Per arrivare qui bisogna volerlo, nessuno può passare per caso da queste gole boscose. La solitudine e la bellezza del paesaggio tolgono il respiro, e la luce “spirituale” del monachesimo italo-greco rende il contesto leggero e immateriale. Sono rari in Italia i luoghi che come il Parco del Cilento suscitano un sentimento di dolcezza e pacificazione così grande. 

Da qui passò San Nilo da Rossano, intorno all’anno 940, prima di raggiungere il luogo prescelto per la realizzazione della sua vocazione monastica. Incontriamo Settimio Rienzo dell’Associazione “Gazània”, che da più di due anni opera attivamente per recuperare la storia bizantina che l’area geografia compresa fra l’alta Calabria e la Lucania occidentale (oggi Campania), custodisce. Per farlo, Settimio e gli altri volontari della realtà associativa hanno ideato “Il cammino di San Nilo”: un itinerario di 103 km all’interno della Provincia di Salerno – suddiviso in 7 tappe – che inizia dal comune di Torraca e si snoda nel Basso Cilento fino ad arrivare a Palinuro, nel comune di Centola, attraversando 11 bellissimi borghi.



Settimio, chi era San Nilo?

 

 

 

«Nicola Malèinos era nato in Calabria, nella Rossano bizantina, da una famiglia aristocratica. Intorno ai trent’anni, spinto da una fortissima vocazione, scelse di diventare monaco. Essendo però sposato – per ottemperare agli impliciti obblighi della sua posizione – non poteva farlo nell’àmbito amministrativo di Rossano. Dopo essersi assicurato che moglie e figlia non avessero più problemi economici, decise di lasciare la Calabria per consacrarsi al servizio di Dio. Si mise così in cammino raggiungendo l’abbazia di San Nazario, nel Cilento. Ricevuto l’abito, cambiò il nome di battesimo in Nilo, conservando un residuo di legame mondano nella sola iniziale».



Il percorso ricalca proprio le orme di questa emblematica figura.

 

 

 

«Sì, ma incontra anche luoghi idealmente a essa legati. Il Parco è ricco di eremi, monasteri e santuari. Il cammino è il modo ideale per godere a pieno delle tracce del Medioevo bizantino. Ai tempi di San Nilo, c’era un fitto reticolo di sentieri che collegavano l’alta Calabria e la Lucania centroccidentale. Alcuni sentieri, purtroppo, oggi sono scomparsi; altri invece esistono ancora, e sono mete di frequentati pellegrinaggi».



Praticamente, un’occasione per riscoprire le bellezze del territorio.

 

 

 

«Esatto. Proprio perché chi sceglie di affrontare questa esperienza ha la possibilità di conoscere i bellissimi borghi incastonati nella zona interna che, purtroppo, sono vittime dell’annosa piaga dello spopolamento. “Il cammino di San Nilo”, oltre all’indissolubile valore spirituale, è un progetto di sviluppo del territorio cilentano».



Immergersi nella natura in questo momento in cui siamo tutti vampirizzati dagli smartphone può risuonare come un atto di sana rivoluzione?

 

 

 

«Be’ sì. Il cammino continua ad avere un grande riscontro anche fra i giovani. Tant’è che stiamo pesando di fare delle azioni ben mirate che coinvolgano anche le scuole. L’attività di lenta scoperta del territorio e il reciproco ascolto fra le persone infondono un senso di benessere, rispetto alle tendenze veloci della società contemporanea. Un’esperienza simile non è soltanto un percorso fisico e interiore, ma anche il pretesto per imparare a vedere la realtà in maniera diversa».



Ed è anche un modo per tornare a far gruppo.

 

 

 

«Il Cilento permette di vivere in un contesto abbastanza isolato, poiché lontano dalla confusione e dal caos. C’è una commistione perfetta fra le bellezze ambientali, culturali e gastronomiche che sprona a prendersi del tempo favorevole al proprio benessere. Vivere il gruppo è sempre una bella esperienza. Lo scorso anno, una ragazza ci ha scritto una lettera di ringraziamento, improntata proprio sul valore della comunità. Perché nel camminare insieme per una settimana si crea quella solidarietà speciale, di fondamentale importanza per raggiungere ogni meta».

 

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