religione

Gambetti: vi attendono i colori della Resurrezione

Redazione
Pubblicato il 12-04-2020

Il Custode nella riflessione omiletica auspica tre atteggiamenti: guardare...cercare...spingersi

Celebriamo la Pasqua nell’anno del Signore 2020. Siamo chiusi in casa. Si lavora senza sosta nelle corsie di ospedale. È febbrile l’operato nelle sedi di governo. C’è chi lotta tra la vita e la morte. C’è chi sta morendo.

Il popolo non può partecipare alla celebrazione eucaristica. Eppure, nella notte è risuonato l’annuncio dell’angelo alle donne: “Non è qui. È risorto… venite, guardate il luogo dove era stato deposto… vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Come comporre oggi la morte che sperimentiamo con l’annuncio pasquale?

In questa Basilica affrescata con i colori della risurrezione, vorrei lasciare echeggiare innanzitutto le parole del Cantico delle Creature, di frate Francesco: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovara` ne le Tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farra` male”. D’altra parte, come narra il suo primo biografo, Francesco quando ormai si approssimava alla morte, “andandole incontro lieto, la invitava a essere sua ospite: "Ben venga, mia sorella Morte!" 

Francesco è un uomo che ha partecipato fino in fondo alla passione di Gesù e ha percorso tutto il cammino che lo ha portato ad essere risorto con Cristo. Francesco ha compreso che Dio ha preferito la debolezza alla propria potenza (Fil 2,8) per amore dell’uomo, per unirsi ai cuori degli uomini.

Gesù non ha eliminato o scartato la morte, non l’ha aggirata o superata ma ci è entrato con la sua vita. Gesù si è immerso nella morte, come il chicco nella terra. Ed è risorto, non al modo di un cadavere rianimato, come era stato per Lazzaro, ma con il suo vero e definitivo corpo. La gioia pasquale lo proclama.

Allora, come comunità che custodisce le spoglie del Santo Patrono d’Italia, vorremmo far giungere a tutti, nelle case, nelle sedi di governo, negli ospedali,… a chi soffre e a chi lavora, a chi sta morendo… a tutti e ovunque, vorremmo dire: Dio è con voi, Gesù è con te, “… poiché ha versato la sua vita nella morte …” (cf. Is 53,11).

Nella fragilità che tutti sperimentiamo e nella sofferenza di cui tutti, in diversi modi, portiamo il peso, possiamo partecipare all’Amore di Cristo, che diventa in noi radice e sorgente di vita, sempre nascente, sempre nuova. Coraggio! Oggi, il giorno uno della settimana, con il racconto di Giovanni si dischiude innanzi a noi un tempo completamente diverso: 8 giorni di Pasqua – tanto dura l’oggi che viviamo – e 50 giorni di tempo pasquale; è un tempo nuovo, nel quale tutto ciò che fino ad ora è stato vissuto appare nella sua luce vera. Tale tempo si apre sotto il segno del corpo scomparso.

Come ha fatto con Pietro e Giovanni, Maria Maddalena – segnata da un sentimento di assenza irrimediabile – ci conduce alla soglia di questa scoperta. Si apre davanti a noi un cammino di fede, che si può si può percorrere con frutto se si hanno almeno tre attenzioni: guardare il sepolcro vuoto, cercare le cose di lassù e spingersi verso la Galilea delle genti. Guardare il sepolcro vuoto. Il sepolcro è pulito, era nuovo, è bello, ma non vi è il corpo di Gesù. In questo periodo, è immediato accostare le chiese vuote al sepolcro vuoto. Sia chiaro: Gesù risorto è presente qui, in questa celebrazione, come in tutti quei luoghi che prima menzionavo. Il corpo di Cristo è presente dove è la Chiesa.

Ma il problema è comprendere i confini della Chiesa o, come diceva Evdokimov, la questione non è tanto sapere dove la Chiesa è, ma sapere dove non è. Il cardinal Bergoglio nel suo discorso alle congregazioni generali prima della sua elezione a Papa, disse: “Ho l’impressione che Gesù è stato rinchiuso all’interno della Chiesa e che bussa perché vuole uscire, vuole andare via”. Forse è quello che ha fatto. Le chiese dopo la pandemia torneranno a riempirsi, ma da anni, progressivamente, si stanno svuotando chiese, parrocchie, seminari, conventi. Il Risorto è radicalmente trasformato dall’esperienza della morte, tanto che le persone più care subito non lo riconobbero. Dobbiamo abbandonare i nostri schemi.

Ad esempio: la Chiesa è una santa cattolica e apostolica, e non è il numero dei followers e nemmeno il numero dei ‘praticanti’; il Verbo, il Logos, è nella teologia umile e affettiva, fatta in ginocchio, ma non è nelle sistematizzazioni rassicuranti e chiuse di molti centri teologici, sempre più vuoti; lo Spirito del Risorto è nei gesti di carità che ogni vivente pone, ma non è nei nostri cuori quando vogliamo trattenere, giudicare, convertire gli altri, fare proseliti.

Cercare le cose di lassù. Noi cristiani dobbiamo tornare a cercare, rivolti al futuro. Non possiamo tornare al passato, che non c’è più, o sprecare una enorme quantità di energie e di tempo per delle mere riorganizzazioni esteriori. E non possiamo nemmeno fermarci all’estetica degli avvenimenti, delle celebrazioni e della comunicazione, seppur l’estetica richiami le cose di lassù. Siamo invitati ad andare al cuore dell’umanità e del vangelo, compiendo un viaggio nel profondo. Dio per primo si è rivolto all’umanità, si è ‘convertito’ ad essa. E da dentro all’umanità ha rivelato se stesso, dischiudendoci il pezzo di cielo che è in noi e sopra di noi.

Dobbiamo trovarlo e imparare a custodirlo, per promuovere la vita nello Spirito. Siamo noi i primi a doverci convertire, non gli altri. Spingersi verso la Galilea delle genti.

Mi trovo concorde con Tomas Halik (Il segno delle chiese vuote), il quale è “convinto che la ’Galilea di oggi’, dove dobbiamo cercare Dio, che è sopravvissuto alla morte, sia il mondo dei cercatori”. E per lui i cercatori sono “fra i credenti (coloro per i quali la fede non è un ‘retaggio’, ma una ‘via’) e fra i non credenti, che respingono i concetti religiosi proposti loro da quanti li circondano, ma provano comunque il desiderio di qualcosa che soddisfi la loro sete di significato”.

Non pensate che il Risorto sia nel crogiuolo di costumi, di popoli, di fedi che la globalizzazione aggrega sempre più, in quell’umanità bizzarra e tanto umana del meticciato? Non credete anche voi che il Risorto sia in quella marea di persone che non si curano dei nostri servizi religiosi, dei nostri sacramenti, che sono spinti dalla pulsione a cercare la vita e a curarsi degli altri, facendo anche tanti errori, ma chi non li fa? In Lui è la vita, e la vita è la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta (cf. Gv 1,4-5). Usciamo incontro agli altri. Apriamo tavoli di confronto con i ‘cercatori’, senza pensare di doverli catechizzare, ma piuttosto di doverli ascoltare, perché anche in loro c’è la luce del Risorto.

Entriamo nel sepolcro, vediamo e crediamo per ricevere il perdono dei peccati per mezzo del suo nome (At 10,43); gustiamo piano piano la dolcezza della pace di Gesù; condividiamo la sua gioia e la libertà che ci dona; e andiamo verso la Galilea delle genti, dove lo vedremo nel suo vero corpo.

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