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Corea, un milione di fedeli alla messa del Papa DIRETTA TV

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

In alto i cuori, Sursum corda, la celebrazione è in coreano e in latino e i fedeli rispondono precisi guardando il libretto bilingue, Habemus ad Dominum! , un milione di voci nel mattino afoso di Seul per la messa del Papa, un milione di persone capaci di restare in silenzio perfetto dopo l’omelia e la comunione, inchinandosi all’unisono al suono del gong. Nel terzo giorno del suo viaggio, davanti alla porta simbolo di Gwanghwamun - l’ingresso ricostruito dell’antico palazzo imperiale - Francesco ha celebrato la beatificazione di 124 martiri coreani, la prima generazione di inizio Ottocento. «Il loro esempio ha molto da dire a noi, che viviamo in società dove, accanto ad immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà», ha scandito il Papa. «Una società dove raramente viene ascoltato il grido dei poveri e Cristo continua a chiamare, ci chiede di amarlo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratelli e sorelle bisognosi».


Francesco in questi giorni, dalla Corea del Sud, si rivolge all’Asia e tutto il pianeta. «La celebrazione odierna abbraccia gli innumerevoli martiri anonimi,Esplora il significato del termine: Francesco in questi giorni, dalla Corea del Sud, si rivolge all’Asia e tutto il pianeta. «La celebrazione odierna abbraccia gli innumerevoli martiri anonimi, in questo Paese e nel resto del mondo, i quali, specie nell’ultimo secolo, hanno offerto la propria vita per Cristo o hanno sofferto pesanti persecuzioni a causa del suo nome”, ha spiegato il pontefice. «L’eredità dei martiri puòispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad operare in armonia per una società più giusta, libera e riconciliata, contribuendo così alla pace e alla difesa dei valori autenticamente umani in questo Paese e nel mondo intero».




Il Papa si è soffermato in particolare sul ruolo dei fedeli laici, che in Corea hanno diffuso il cristianesimo anticipando i missionari. «Oggi molto spesso sperimentiamo che la nostra fede viene messa alla prova dal mondo, e in moltissimi modi ci vien chiesto di scendere a compromessi sulla fede, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci allo spirito del tempo», ha detto. «E tuttavia i martiri ci richiamano a mettere Cristo al di sopra di tutto e a vedere tutto il resto in questo mondo in relazione a Lui e al suo Regno eterno. Essi ci provocano a domandarci se vi sia qualcosa per cui saremmo disposti a morire».

A sorpresa, venerdì pomeriggio, Francesco è andato a trovare i confratelli gesuiti di Seul nell’università Sogang della capitale. E ha parlato della “consolazione” di Sant’Ignazio con parole che riassumono il cuore del suo pontificato: «Il popolo di Dio necessita consolazione, di essere consolato, il consuelo. Io penso che la Chiesa sia un ospedale da campo in questo momento. Il popolo di Dio ci chiede di essere consolato. Tante ferite, tante ferite che hanno bisogno di consolazione… Dobbiamo ascoltare la parola di Isaia: Consolate, consolate il mio popolo! Dio consola sempre, spera sempre, dimentica sempre, perdona sempre». Perché, «ci sono molte ferite nella Chiesa, ferite che molte volte provochiamo noi stessi, cattolici praticanti e ministri della Chiesa», ha aggiunto, prima di esclamare: «Non castigate più il popolo di Dio! Consolate il popolo di Dio! Tante volte il nostro atteggiamento clericale cagiona il clericalismo che fa tanto danno alla Chiesa. Essere sacerdote non dà lo status di chierici di stato, ma di pastore. Per favore, siate pastori e non chierici di stato. E quando siete nel confessionale ricordatevi che Dio non si stanca mai di perdonare. Siate misericordiosi!». (Gian Guido Vecchi - Corriere)

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