religione

Confessioni a cuore aperto di un religioso

Enzo Bianchi, La Stampa Vatican News
Pubblicato il 28-03-2020

Ci sono libri che si divorano e altri che si assaporano lentamente. Un Dio diverso appartiene a entrambe le categorie. Lo si inizia incuriositi dal titolo e dalle prime pagine; lo si percorre sempre più veloci, coinvolti dal suo stile e dai temi trattati, così personali e così universali; vi si ritorna di tanto in tanto, per coglierne un'intuizione e svilupparla dentro di sé.

L'autore, Raphaël Buyse, è un presbitero della diocesi francese di Lille. A un certo punto della sua vita ha sentito il bisogno di fare il punto su se stesso e sulla propria fede. Per questo ha scelto di sostare lungamente presso il monastero benedettino di Clerlande, in Belgio.

E com'è uscito da questo tempo di ritiro?
Domanda lecita, ma Buyse ci fa percorrere un itinerario diverso, più attento al cammino che alla meta finale. Folgoranti le parole con cui il testo si apre: «Se devo essere sincero non cerco più Dio. Da tempo. L'ho cercato. Ne ho spiato le mosse. L'ho atteso. L'ho rincorso passando da un libro all'altro, dalle sessioni ai ritiri, dai metodi alle ricette. Mi sono stancato. I miei occhi si sono logorati. Ora non lo cerco più. Non mi aspetto più nulla da lui».

Parole dette a basso prezzo, per stupire o sedurre il lettore?
Nient' affatto. È l'inizio di una confessione a cuore aperto, che esprime un inquieto desiderio di fare ordine in sé per vivere in modo più umano con gli altri. E di compiere tutto ciò alla luce del Vangelo, cioè della vita di Gesù: «Gesù? Una capacità di entrare in contatto con arte, con delicatezza, senza molte parole. Per divenire più umani? È sufficiente contemplarlo: esperienza unificante». Unificazione, unificarsi: conosco bene questo vocabolario, perché è nient' altro che lo sviluppo e l'attualizzazione di una piccola parola greca, mónos (da cui deriva «monaco»). Parola che scandisce in modo ritmico il nostro libro; parola su cui da tutta la vita medito, pur su sentieri diversi da quelli dell'autore. O forse solo apparentemente diversi. Quando infatti mi ripeto, con un antico autore monastico, che «monaco è colui che è separato da tutti e unito a tutti», sono forse tanto lontano dai sentieri battuti da Buyse? Suoi compagni di viaggio sono i monaci da cui è ospitato, uomini che con la loro vita semplice, ritmata e in cerca di unificazione, lo spingono a vivere altrimenti il tempo, a smettere di affannarsi e ad accontentarsi, con fatica, di «esserci».

E poi una grande donna, molto ispirante anche per me, Madeleine Delbrêl (1904-1964), le cui intuizioni sono citate negli snodi decisivi del libro: è lei infatti ad averlo convinto che la vita monastica è solo una modalità tra le altre di tendere a quell'unificazione interiore a cui ogni essere umano aspira.

E così l'autore può giungere a definirsi una sorta di «monaco del sagrato» che ama la porta aperta sulla strada e cammina senza più schemi religiosi o teologici verso ciò che accade: «un monaco sul sagrato dell'uomo», come il libro si conclude. Questo piccolo libretto, eminentemente poetico, spirituale perché umanissimo, ci consente di ritrovare il gusto del Vangelo, il gusto di Gesù; ci guida, molto concretamente, a ritornare a noi stessi proprio mentre ci fa riscoprire il gusto degli altri, con i quali ciascuno di noi cammina su questa terra, sotto questo cielo.

Quegli altri che sono volti precisi e grazie ai quali riceviamo in modo rinnovato la nostra umanità. Umanità che fa rima con comunità: siamo infatti chiamati a camminare insieme, perché non esiste una strada felice se la si percorre senza compagni di strada. In questo camminare ci è dato, insieme a Buyse, di scoprire in modo nuovo il senso di alcune parole, tra cui spiccano obbedienza e castità (cosa ben diversa dal celibato!), alle quali sono dedicati due aurei capitoli.

Ci è dato di conoscere altrimenti il volto del Dio raccontato da Gesù Cristo: «Ho imparato da Gesù a non credere più che Dio è al di sopra di noi, ma che abita nell'intimo del nostro essere. Discreto e silenzioso. Il suo silenzio apre il possibile e rende l'uomo responsabile La gioia che si prova a vivere più semplicemente in memoria di Gesù ci unifica nel nostro essere. Bisogna viverlo per comprenderlo. Almeno tentare». Ne vale la pena

Enzo Bianchi, La Stampa

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