religione

Annunciazione, il sì di Maria abbatte le distanze tra divino e umano

Padre Enzo Fortunato Archivio fotografico Sacro Convento
Pubblicato il 25-03-2021

Una riflessione sapiente che porta all'accoglienza della volontà del Signore

Se c'è un aspetto che prima degli altri possiamo notare della scena dell'Annunciazione, è lo sconcerto, la paura viva e tutta umana che coglie impreparata l'adolescente Maria alla vista dell'arcangelo Gabriele, all'ascoltare la sua Parola. Viene pronunciata la prima ode alla Madonnala prima “Ave Maria”. La reazione viene tradizionalmente descritta secondo quest'ordine di stati d'animo in evoluzione: conturbatione, cogitatione, interrogatione, humiliatione, meritatione.

Allo smarrimento e timore iniziali, segno di profonda umiltà, segue, nonostante la giovane età, una riflessione sapiente che porta a una piena e convinta accoglienza della Volontà del Signore. La donna più amata del mondo ascolta l'Annuncio, lo fa proprio e apre una nuova Via. Attraverso la sua scelta si rinanova la speranza per tutta l'umanità.

L'elemento esistenziale francescano

Se ti dico sì per paura, mandami all'Inferno. Se ti dico sì per ottenere qualcosa, escludimi dal Paradiso. Se ti dico sì per te stesso, allora abbracciami. Forse è superfluo chiedersi quale sia la natura del “sì” di Maria. La giovane che, ricevuto l'Annuncio, «stette immobile, tremando, con l'animo come smarrito, mentre il cuore le palpitava forte a causa delle misteriose parole udite. Poi il suo cuore si allietò e si confortò per quelle parole, sorrise come una bimba e arrossì sulle guance, allietata di gioia e pervasa nel cuore da un delicato pudore. E a lei tornò il coraggio e il Verbo volò nel suo grembo». Con queste parole gli Oracoli Sibillini, risalenti al secondo secolo, descrivono la purezza d'animo e al tempo stesso il carattere determinato che porta a compiere una scelta così coraggiosa: la responsabilità di divenire – come scritto da sant'Ambrogio - essa stessa il “tempio di Dio”.

Un sì che abbatte le distanze tra il divino e l'umano. Un sì grazie al quale il Signore abbraccia Maria e, per mezzo di essa – o meglio, per mezzo del frutto del suo seno Gesù – abbraccia tutta l'umanità. “Eccomi, sono la serva del Signore”. Tale espressione è segno di umiltà, ma al tempo stesso è frutto di consapevolezza. Maria è partecipe del Mistero in atto. Dio agisce «anche sulla base della sua adesione, del suo fiat: “avvenga di me”. Servo, nel linguaggio biblico è colui che ha la consapevolezza di avere una missione decisiva da compiere. Nel momento dell'annunciazione Maria sigilla il mistero che in lei si compie dichiarando la sua libertà di adesione a qualcosa di assolutamente unico e ineffabile».

Maria è «kecharitoméne», che in greco significa “colma di grazia”, come annuncia Gabriele. “Il Signore è con te”, prosegue l'arcangelo. Possiamo immaginare lo sgomento, la conturbatione nel chiedersi quale sia la missione, nell'interiorizzare il ruolo che questa giovane ragazzina è stata chiamata a svolgere. «La sua domanda ha tuttavia un peso infinitamente più inquietante e paradossale: che significa che Dio è con me? Non ha Egli sempre accompagnato la storia di Israele? Quale novitas, allora, si annuncia? Non questo o quel miracolo, risponde Gabriele, non semplici eventi straordinari, bensì il fatto che non esiste impossibile presso Dio. Proprio questa la tua storia sarà chiamata a rivelare, di ciò farai esperienza, che tu ne divenga o meno consapevole».

Ripensiamo ancora una volta a quello sguardo giovane, puro, esterrefatto e impietrito. Un timore che ci accomuna e che in un certo senso proprio per questo ci rassicura. Come Maria, siamo colti alla sprovvista dalle manifestazione di Dio. Ma l'insegnamento della Vergine è che il Verbo può essere ascoltato, inteso, fatto nostro, in una parola: accolto.

Maria «accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo». È un passaggio della Lumen Gentium, seconda delle quattro Costituzioni del Concilio Vaticano II. Riconosciamo e onoriamo la Vergine come vera madre di Dio. «Quale discendente di Adamo – prosegue il testo – è congiunta con tutti gli uomini bisognosi di salvezza; anzi, è “veramente madre delle membra (di Cristo) perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra”».

Non sottovalutiamo la profondità e semplicità di quella frase: Maria accoglie “nel cuore e nel corpo”. Come ha scritto don Tonino Bello, ella è al tempo stesso discepola e madre del Verbo: «Discepola, perché si mise in ascolto della Parola, e la conservò per sempre nel cuore. Madre, perché offrì il suo grembo alla Parola, e la custodì per nove mesi nello scrigno del corpo. Sant'Agostino osa dire che Maria fu più grande per aver accolto la Parola nel cuore, che per averla accolta nel grembo».

Maria è simbolo di accoglienza. Tornando alla domanda – retorica – che apre questo paragrafo, non dubitiamo un istante sulla natura del suo “sì”. Maria accoglie il Verbo, accoglie l'Annuncio, supera paure e limiti che derivano dalla difficoltà, se non dall'impossibilità di comprendere ciò che è divino. Ma la capacità di Maria è quella di vincere i propri timori, di superare i suoi stessi limiti di essere umano, di comprendere attraverso l'ascolto l'importanza del ruolo che da Dio le viene offerto, di elaborare la propria accettazione e di rispondere in piena consapevolezza: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Così parliamo di Maria come sinonimo di ospitalità e accoglienza: «Nessuno fu mai respinto da lei. E tutti trovarono riparo sotto la sua ombra. Dalle vicine di casa alle antiche compagne di Nazaret. Dai parenti di Giuseppe agli amici di gioventù di suo figlio. Dai poveri della contrada ai pellegrini di passaggio. Da Pietro in lacrime dopo il tradimento a Giuda che forse quella notte non riuscì a trovarla in casa».

Non posso non pensare a come Francesco d'Assisi abbia cercato di vivere questa pagina del Vangelo. E accosto l'Annunciazione a un'altra scena, stavolta dipinta nella Basilica superiore: «Francesco, chi ti può giovare di più: il signore o il servo, il ricco o il povero?»20. Francesco, in quello che è ricordato come il “sogno di Spoleto” risponderà: «Il signore». È lì che il Santo di Assisi dice il suo “sì” a Dio, come Maria lo dice all'arcangelo. Come per Maria, così per Francesco, ma anche per ciascuno di noi non mancheranno dubbi, incertezze e paure. Ma quel sì che lentamente prende forma nella vita di Francesco, viene alimentato dalla relazione con Dio e dall'abbraccio dei fratelli. Ecco perché il nostro sì a Dio non può non portarci ad essere uomini e donne con le braccia aperte, accoglienti.

Maria, donna dell'accoglienza, donna del destino. La più amata. Da tutti, nei secoli dei secoli. Così generosa da colpire al cuore perfino l'angelo che le annunciò la Parola di Dio. È Dante, nel penultimo canto della Divina Commedia, a essere incuriosito dallo sguardo che Gabriele - “Innamorato sì che par di foco” - rivolge alla Vergine: «O santo padre, che per me comporte / l’esser qua giù, lasciando il dolce loco / nel qual tu siedi per etterna sorte, / qual è quell’angel che con tanto gioco / guarda ne li occhi la nostra regina, / innamorato sì che par di foco?». / Così ricorsi ancora a la dottrina / di colui ch’abbelliva di Maria, / come del sole stella mattutina. / Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria / quant’esser puote in angelo e in alma, / tutta è in lui; e sì volem che sia, / perch’elli è quelli che portò la palma / giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio / carcar si volse de la nostra salma». (Dal libro Il Natale di Maria, di padre Enzo Fortunato)

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