opinioni

La terra reagisce alle nostre azioni

Bruno Latour Unsplash
Pubblicato il 16-03-2021

Le sfide dell'antropocene

Per prima cosa, non bisogna disperarsi. Questo è il problema che si pone ogni volta che ci si immerge nei dati accumulati dal Gruppo di lavoro sull' Antropocene. L' ampiezza del fenomeno è tale che, dinnanzi a esso, qualsiasi lettore si sente rimpicciolire alle dimensioni di un atomo. Cosa in realtà paradossale, dal momento che il nome stesso affidato a questa epoca (l' era dell' uomo) conferisce all' umanità una forza tanto grande, nel trasformare la Terra, e con una rapidità senza equivalenti nella storia passata, da rivaleggiare con le forze telluriche. La tentazione di sfuggire a questa angoscia, e perfino a questa desolazione, negando l' esistenza del fenomeno stesso, è forte. È precisamente quello che fanno in molti, per indifferenza, per diniego o partecipando a campagne esplicite di disinformazione. Sfortunatamente per loro, per così dire, la questione dal punto di vista scientifico è chiusa. Naturalmente i ricercatori ignorano ancora molte cose, le previsioni restano soggette a errore, i modelli possono incorrere in errore, ma l' accumulazione dei fenomeni è talmente significativa, i dati provengono da branche della scienza così diverse e vengono elaborati da un numero tanto elevato di strumenti distinti che non è più possibile mandare tutto all' aria e pretendere che «l' umanità non c' entri nulla». Bisogna accettarlo, non si può uscire da questa situazione negando i risultati della scienza.

E tuttavia, se il dibattito scientifico tende, ogni anno, a chiudersi sempre di più sull' origine umana di questa grande trasformazione, tale constatazione non rappresenta affatto la fine dell' altro discorso, quello che riguarda il mondo nel quale ciascuno di noi vuole vivere. In altre parole, l' accumulazione di dati ci fa passare da un dibattito di tipo scientifico a uno che possiamo, a buon diritto, definire antropologico: potete vivere in questo mondo senza cadere vittima dello sconforto?

Milioni di persone, com' è noto, rispondono dicendo: «No, affatto, mi rifiuto di vivere in quel mondo là, voglio vivere in un mondo diverso, senza mutamenti climatici, senza andare incontro a una Sesta Estinzione, senza l' aumento del livello del mare». Scelgono di andare a vivere su Marte o in un mondo di sogni, e molti desiderano tornare al quadro relativamente più tranquillo dell' Olocene. Questa fuga fuori dal mondo è quella, ad esempio, di molti partiti politici che, con il pretesto di un dibattito scientifico, che pretendono essere ancora aperto, si dedicano in verità a un altro tipo di lotta per imporre ad altri Paesi la propria visione del mondo e il loro sistema di valori. È a questo punto che si ripresenta la questione politica e che possiamo sfuggire alla disperazione. Se la maggior parte dei lettori non possiede delle ragioni credibili per contestare i risultati scientifici, questi ne hanno invece molte per contestare le scelte dei valori e la visione del mondo di coloro che pretendono occupare la loro terra e distruggerla. Se non tutti sono in grado di cimentarsi con la stratigrafia o la geochimica, ognuno ha il diritto, e perfino il dovere, di battersi per quella che è diventata la grande questione politica del momento, quella che organizza tutte le posizioni attuali. Soprattutto perché non si tratta più dell' umanità presa in blocco, come suggerisce il termine troppo generico di antropo. Il grande vantaggio di trovarsi dinnanzi all' Antropocene è che non si ha più a che fare con un problema naturale, davanti al quale saremmo senza forza e senza risorse, ma siamo davanti a decisioni sociali alle quali possiamo tranquillamente opporci. Se, a una prima lettura, ci si può sentire sprovvisti davanti all' ampiezza di una simile impresa, alla seconda ci si sente invece della giusta statura per cogliere la sfida.

La novità che ci porta l' Antropocene è che questo ci obbliga a passare da un vecchio regime climatico a uno nuovo, nel senso scientifico ma anche politico del termine. Come mai? Perché nel vecchio regime climatico i Paesi industriali modernizzati o in via di modernizzazione si staccavano sempre di più dalle loro condizioni materiali di esistenza. Gli abitanti vivevano in un Paese che dava loro dei diritti, una proprietà, la possibilità di votare e di essere rappresentati, ma in realtà vivevano grazie ad altri Paesi, ad altri terreni, ad altre terre lontane che gli assicuravano la ricchezza. Tra questi due, il Paese in cui vivevano e il Paese grazie al quale vivevano, la distanza diveniva sempre più grande. Era già il caso della scoperta dell' America, ma questa distanza non ha smesso di crescere fino alla Grande Accelerazione. Oggi, all' inizio del XXI secolo, il Paese di cui ogni lettore e ogni lettrice si sente cittadino, e il terreno, la terra, il territorio dal quale ciascun lettore trae la propria ricchezza sono infinitamente lontani l' uno dall' altro. Sicuramente, il timore che questo divario non termini con una lenta planata, ma con uno schianto di proporzioni catastrofiche aumenta.

Tuttavia, la fonte della paura, dell' angoscia, dello sconforto è precisamente ciò che la descrizione sempre più minuziosa di questa Terra, dalla quale dipendiamo e che reagisce così energicamente alle nostre azioni, permette di alleviare. Più descriviamo la situazione reale, meno ne abbiamo paura. Alla fine, sappiamo dove ci troviamo, in quale epoca della storia umana e geologica - l' Antropocene - in quale luogo viviamo: la Terra, che reagisce alle nostre azioni. Tutto questo vale più di sognare, come fanno alcuni, che risolveremo tutti i nostri problemi su Marte o tornando al Paese di un tempo. Resta da sapere, da scoprire, da esplorare, non solamente dove e quando saremo d' ora in poi collocati, ma chi siamo, quale genere di esseri umani e quale tipo di cittadini siamo. Resta da trovare il nostro posto e decidere con chi vogliamo vivere. (La Stampa)

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