opinioni

La grammatica di Bergoglio

Padre Enzo Fortunato Ansa - Francesco Costa
Pubblicato il 01-04-2021

La distanza tra la “Chiesa del potere” e la “Chiesa del servizio”

Marco, nel suo Vangelo, racconta tre episodi di incomprensione di Gesù con i discepoli, ogni volta che annuncia la sua passione. L’ultimo è quello con Giovanni e Giacomo: “chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”. È la grammatica della Buona Novella, dell’Evanghélion. La stessa grammatica del lessico di Papa Francesco. Ce lo fece comprendere nella sua prima Pasqua, nel 2013. Suscitando un dibattito senza precedenti. Per la prima volta la lavanda dei piedi non avveniva sotto la maestosa cupola di Michelangelo e accanto al Baldacchino dorato del Bernini, ma nell’Istituto penale per minori di Casal del marmo di Roma. Alle tante obiezioni Bergoglio rispose in modo limpido: “E’ un sentimento che è venuto dal cuore; ho sentito quello. Dove sono quelli che forse mi aiuteranno di più ad essere umile, ad essere servitore come deve essere un vescovo. Ed io ho pensato, io ho domandato: “Dove sono quelli a cui piacerebbe una visita?” E mi hanno detto “Casal del Marmo, forse”. E quando me l’hanno detto, sono venuto qui. Ma dal cuore è venuto quello, soltanto. Le cose del cuore non hanno spiegazione, vengono solo. Grazie, eh!”.

Iniziò a tracciare di fatto la distanza tra la “Chiesa del potere” e la “Chiesa del servizio”. Da allora ogni celebrazione del Giovedì Santo segna il percorso di un anno con la gioia pasquale. Chi sono coloro che vengono invitati alla cena e rispondono “O Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvo”? Che cosa è questa indegnità? Siamo indegni dell’Eucarestia perché abbiamo dei peccati? Forse perché siamo responsabili di colpe in cui cadiamo ogni giorno? Cadiamo e ci rialziamo, cadiamo e ci rialziamo? Come recita il detto dei Padri del Deserto. Forse no. Perché l’Eucarestia è un sacramento per i malati, una mensa aperta ai peccatori e non per un “club dei giusti”. Gesù l’ha voluta per i peccatori.

Guardiamo ai due gesti che ciascuno di noi compie nel ricevere l’Eucarestia. Ci ricordano i mendicanti. Facciamo un leggero inchino prima di ricevere il pane e il vino, poi apriamo le mani. È il gesto del mendicare. Di chi chiede l’elemosina e prova vergogna a guardarci negli occhi mentre stende la mano. Come ricorda la liturgia latina: “Signore, io non sono degno che tu faccia di me la tua dimora, non sono degno di accoglierti nella mia casa che è il mio corpo, che è tutto il mio essere ma confido in una sola parola, nella parola del Signore e allora sarò fatto degno.” Questa indegnità – come annota Enzo Bianchi – non è l’indegnità dei nostri peccati, ma quella della nostra povertà.

Per questo motivo abbiamo bisogno di consacrati, di uomini e donne che vivano la bellezza della gioia pasquale, come in una riflessione attribuita a don Andrea Gasparino (portatore del messaggio di Charles de Foucauld): Abbiamo bisogno di preti, Signore, ma di preti fatti sul Tuo stampo; (…). Vogliamo preti “a tempo pieno”, che consacrino ostie, ma soprattutto anime, trasformandole in Te; preti che parlino con la vita. Sono parole che gridano l’emergenza di una chiesa in uscita, una Chiesa che, come San Francesco, si sposta nelle piazze a contatto con la gente, con chi soffre, con chi ha bisogno.

Da dove ricominciare? È la domanda che pone Ivano Dionigi nel suo testo Parole che allungano la vita, e la riposta ce la offre Charles de Foucauld: “sentire qualunque essere umano come un fratello”. E’ la grammatica di Bergoglio (Huffington Post)

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