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Il nostro cielo vuoto e noi senza speranza

Franco Cardini Pixabay
Pubblicato il 03-03-2020

Come al solito da almeno un secolo e mezzo ci restano solo due vie: o il Cristo, o Nietzsche.

Parliamone: senza superbia e senza ironia. Quella del nostro Occidente è una storia magnifica. Siamo dei viaggiatori, degli inventori, dei conquistatori, dei vincenti. Pico della Mirandola ci ha chiamati “divini camaleonti”, capaci di assumere qualunque forma. I nostri eroi sono Prometeo, Odisseo, il dottor Faust. Siamo nati per scalare l’Olimpo. Perfino l’Onnipotente Dio di Abramo, se ha voluto conquistarci, ha dovuto assumere veste umana: e alla fine, sia pur con affetto e rispetto, abbiamo nella pratica congedato anche lui. L’Occidente moderno è diventato la koinè diàlektos del mondo. Siamo noi soli la misura di noi stessi e di tutte le cose. 
Ma il trono glorioso sul quale siamo assisi ha un costo stratosferico. Siamo soli nella nostra grandezza. Sopra di noi il cielo è vuoto, davanti a ciascuno di noi c’è il Nulla. Abbiamo rinunziato fino dal Cinquecento a dare un senso al mondo del quale ci siamo impadroniti, e alla vita che non è più finalizzata se non a se stessa. E, davanti al mistero del destino che ci aspetta, ci troviamo soli e tremanti. Abbiamo fatto sparire dai nostri rituali la morte che un tempo giganteggiava signora e padrona. I nostri riti servivano a esprimere il timore, ma anche la certezza, ch’essa non era la fine di tutto. Anche le Danze Macabre e i Trionfi della Morte ci riconducevano a una ritualizzazione che equivaleva ad addomesticare la Signora del Mondo, a ricordarle che non era lei la Padrona. E così diventava la nostra austera compagna nel viaggio della vita, in attesa della Resurrezione.
Oggi non è più così. La paura della morte è silenziosa, non espressa, negata ma incombente. Lo è nei nostri sogni, nel nostro inconscio. Abbiamo per secoli costruito la nostra libertà, e ora la possediamo: è la libertà del marinaio che, in un mare calmo e infinito ma in una notte senza stelle, si aggrappa a un relitto e non sa dove dirigere le sue bracciate. Le altre culture non sono così. Se riuscite a parlare sul serio con un montanaro afghano, con un contadino del Kerala, con un monaco buddhista, ve ne rendete conto. Non hanno Tecnica, non hanno Potere, non hanno Ricchezza. Ma hanno una consapevolezza spirituale che ci sfugge. Una Forza che somiglia molto a quella che i nostri teologi chiamavano Speranza. Ricordate Dante? «Fede è sustanza di cose sperate – ed argomento delle non parventi». Abbiamo smarrito la chiave del senso profondo di questi due versi. E allora, come al solito da almeno un secolo e mezzo, ci restano solo due vie: o il Cristo, o Nietzsche. O tornate all’umiltà della Fede, o vi specchiate con lucido e indifferente orgoglio nella vostra Disperazione.

Franco Cardini, la Nazione

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